Sala professori durante un’ora libera. Dialogo con una giovane docente di lettere sugli scrutini appena trascorsi, in particolare riguardo ai risultati di un paio di prime classi che abbiamo in comune. Dopo un’interessante condivisione di giudizi, conveniamo sul fatto che questi scrutini di gennaio e febbraio, solitamente un po’ trascurati, sono invece molto importanti specialmente nelle classi iniziali, dove gli alunni vivono un delicato momento di passaggio non solo scolastico.
Se si presta attenzione ai ragazzi e non ci si preoccupa solo di sparare contenuti a raffica dopo qualche giorno di accoglienza e di test d’ingresso, i primi 3-4 mesi di lezione delle prime permettono non solo la registrazione delle conoscenze acquisite, ma anche la prima ricerca e rilevazione di atteggiamenti, motivazioni, possesso o meno di un metodo adeguato di studio, soddisfazione o delusione per il tipo di scuola scelta e attitudini per la stessa, godimento o frustrazione con cui i ragazzi frequentano la scuola, aspettative per il futuro, talenti e ideali di vita, capacità relazionali e affettive, qualità della relazione familiare e tante altre cose ancora. Avendo a disposizione dati reali frutto dell’osservazione quotidiana dei ragazzi e del dialogo con loro, anziché impressioni sporadiche, i consigli di classe, scrutini compresi, sono l’occasione in cui ogni docente partecipa agli altri le scoperte fatte e si rende disponibile a verificarle collegialmente.
In questo senso, lo scrutinio, sia per le prime sia per le classi successive, dovrebbe essere in un certo senso continuo, iniziando già dal primo giorno di scuola e non ridotto a qualche frettolosa considerazione sull’andamento della classe e alla registrazione elettronica dei voti. Perché la valutazione, a pensarci bene, costituisce la struttura portante dell’insegnamento: si insegna valutando, si valuta insegnando.
Riprendendo una nota espressione di don Bosco, questi primi scrutini dell’anno scolastico dovrebbero consentire ad un attento consiglio di classe di scoprire, almeno in parte, quel “punto accessibile” al bene, al vero, al bello che è in ciascuno dei nostri alunni e per il quale raggiungere nel tempo l’universo della loro persona, per costruire insieme una relazione educativa significativa che si rafforzi negli anni.
So bene che, nella pratica, spesso non è così. Potremmo elencare diverse ragioni oggettive per questo, dalla mancanza di tempo a tanti fattori esterni che ogni docente conosce e patisce ogni giorno. Del resto, che i docenti abbiano bisogno di aiuto se ne è accorto anche il ministero dell’Istruzione, che ha istituito in soccorso le figure del tutor e dell’orientatore.
Tuttavia, negli ultimi tempi mi viene da pensare che forse la difficoltà di noi docenti a valutare e insegnare bene derivi da una caratteristica più generale dell’uomo di oggi: la mancanza di impegno con la propria vita secondo tutte le dimensioni problematiche che essa pone. Spaventati da una possibile delusione su noi stessi, non vogliamo seriamente avere a che fare con la nostra esistenza e con le scomode domande che immancabilmente ci provoca, ma solo con qualche aspetto di essa che crediamo di poter gestire meglio. Non desideriamo saper di noi se questo costa un lavoro, ma preferiamo accontentarci e riuscire in qualcosa che pensiamo di saper far bene.
Infatti, ritornando all’insegnamento, si pone magari maggiore attenzione alla performance didattica, o all’impegno in progetti spesso irrilevanti per l’educazione dei giovani, ma si giudica poco quello che accade in noi ogni giorno nell’incontro ordinario con i nostri studenti. Così, senza aver chiari per noi i “fattori costitutivi dell’umano” siamo sempre meno in grado di “scrutinarli”, riconoscerli e valorizzarli nei ragazzi e, più in generale, negli altri.
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