Caro direttore,
mio padre è stato per buona parte della sua vita un professore di lettere al liceo. I suoi studenti lo amavano, lo stimavano e, soprattutto, non si scordavano dopo anni e anni le sue infuocate lezioni sui Promessi sposi. Si esaltava, si divertiva un mondo ad interpretare: gridava, gesticolava… doveva essere davvero uno spettacolo! A sentire le testimonianze di quegli ex studenti sembra che mio padre non facesse altro che leggere il grande romanzo di Manzoni. Non era così, certo, ma fosse stato anche così, da come quei ragazzi ormai diventati adulti ne parlano ho capito che in quelle lezioni Manzoni era vivo e aveva ancora qualcosa da dire. Comunque, per queste sue lezioni mio padre era ricordato come un buon insegnante, non per quanto rispettava il programma, per quanto era avanti o rimaneva indietro.



I vecchi docenti erano fatti così. La scuola era il luogo della libertà e della bellezza. Ricordo docenti del mio liceo classico che andavano piano e se avanzavi qualche dubbio in quinto anno, quando stavano ancora a Manzoni, facevano spallucce e rispondevano: “Come si fa a non dedicare tempo a Manzoni?”. Che gli rispondevi? Che c’era il programma da svolgere? Avevano qualcosa di grande e di bello da comunicare: c’erano i grandi scrittori, i grandi poeti da far conoscere. C’erano dei passi immortali da leggere e pazienza se poi il programma non sarebbe arrivato chissà dove. D’altro canto le ore di un professore di italiano erano sempre quelle, le miserrime quattro settimanali. Il tempo è breve e l’arte immensa… come fare?



Rileggo quanto ho scritto e mi accorgo che ho sbagliato: allora non era propriamente come oggi. La miserrime quattro ore settimanali non erano poi tanto poche, perché le avevi a disposizione tutto l’anno e in santa pace potevi leggere, spiegare, analizzare, approfondire… Non dovevi inventarti un’apposita unità didattica di educazione civica legata ai temi del nuovo libro dei sogni, l’Agenda 2030: era nei testi che leggevi l’educazione civica! Non dovevano, gli studenti, sfiancarsi in astrusi progetti di PCTO o rincorrere crediti in vista dell’esame finale. Avevano del tempo per studiare, per stare sul pezzo.



E anche l’esame di maturità (che bella definizione immortale!) era davvero una prova di maturità: ti concentravi su due materie e su quelle venivi interrogato e, se avevi studiato bene, riuscivi pure a parlare, discutere, dialogare su qualcosa che davvero ti interessava, che avevi scelto. La dimostravi davvero quella maturità che avevi raggiunto. Non eri costretto a giocare al giochino dell’“indovina l’immagine e costruiscici sopra una tesina multidisciplinare a partire dagli snodi tematici” spezzettando il tuo sapere in una manciata di secondi a materia, attento a non scontentare nessuno. Io penso che per come eravamo fatti a quell’epoca ci saremmo ribellati se ci avessero prospettato una tale sciocchezza!

E i libri? Quelli di italiano erano due: una storia della letteratura, coi profili degli autori e le pagine di critica letteraria, e un’antologia di testi. Solo testi, tanti testi. Così che l’autore potevi conoscerlo andando alla fonte. Oggi? Manuali flosci, ripetitivi, striminziti, mezzo cartacei e mezzo digitali. Zeppi di pagine inutili, che servono solo ai docenti pigri, per i necessari collegamenti con l’Agenda 2030, e di temi del mainstream normalmente green con l’immancabile foto di Greta (oltre a tante altre foto che li rendono esteticamente gradevoli per giovani menti evidentemente ritenute sottosviluppate). I manuali giusti per un moderno Bignami che corre corre verso lo svolgimento del programma imbottendo quelle menti di nozioni.

Cari vecchi docenti, cari fari di cultura, dignitosi e autorevoli conoscitori ed amatori della vostra disciplina, come vi rimpiango! Come invidio quella vostra serena libertà che non si curava d’altro che di dare la bellezza che avevate incontrato! Come ricordo quella docente di greco e latino (odiata da tanti, devo riconoscerlo) che leggendo in classe Catullo mi fece capire che esisteva la poesia e che anch’io ero fatto per quella! O quel giovane supplente di storia dell’arte che mi aprì il mondo dell’arte contemporanea l’ultimo anno di scuola!

Mi chiedo: ma se una lezione non diventa un evento, un momento significativo e irripetibile, a cosa serve? Se non diventa un incontro, chi la ricorderà mai e cosa lascerà? Se l’avere inteso non viene “ritenuto” fa scienza? No, certo! Dobbiamo ripensare tutto. Per andare avanti dobbiamo tornare indietro, non c’è altra strada. Lasciamo che altri facciano la scuola dei quiz, del digitale, delle innovazioni didattiche che mettono sotto i piedi i contenuti e la vita. Ritroviamo quello che ha fatto grande la nostra scuola e che ancora regge a fatica in mezzo a tante impazzite novità, in mezzo a nuove parole d’ordine che diventano presto vecchie e vengono poi rimpiazzate da altre parole d’ordine del tutto opposte. Ritorniamo ai docenti, ridiamo la scuola a loro, sottraiamola ai burocrati. Lo so, il mio è un programma reazionario, antiquato e passatista. Ma se il passato ha lasciato tracce indelebili, se ha reso mature generazioni di giovani, se ha dato bellezza ed entusiasmo, non dovremmo umilmente imparare da esso?

Mi siedo in cattedra e penso che dopo aver speso un mese intero a leggere Leopardi nella mia quinta, probabilmente sarò un po’ indietro col programma alla fine dell’anno. Ma quello che è accaduto con i miei ragazzi in questo mese, quello che ho visto nei loro occhi, quello che mi hanno raccontato è ciò che davvero resterà. Ciò per cui forse, un pochino, sarò ricordato anch’io insieme a questi anni di scuola.

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