In questo tempo di coronavirus, di formazione a distanza e di spiegazioni davanti ad uno schermo, l’altro ieri ho partecipato alla lezione di letteratura sul Verga della mia classe terza. La professoressa ha spiegato “l’ideale dell’ostrica”: la paura delle ostriche di essere staccate dal coltello del palombaro dal loro scoglio. Subito mi si sono accese due piste da seguire. Da una parte pensavo a quanto simili siamo in questi giorni a quei poveri contadini siciliani. Come loro avvinghiati ai valori essenziali, alla famiglia, alle tradizioni, alle poche cose di cui godiamo: un appartamento, poche stanze, poche persone, pochi spostamenti, poco lavoro e tanto desiderio di relazioni e di scogli sicuri a cui aggrapparci.
“… mi è parso ora di leggere una fatale necessità nelle tenaci affezioni dei deboli, nell’istinto che hanno i piccoli di stringersi fra loro per resistere alle tempeste della vita, e ho cercato di decifrare il dramma modesto e ignoto che deve aver sgominati gli attori plebei che conoscemmo insieme”. (Fantasticheria, G. Verga)
Dall’altra parte, però, la paura che la “fiumana” verista del cambiamento porta con sé non può farci rimanere arroccati dietro e dentro a un sistema che abbiamo visto metterci in ginocchio.
“Allorquando uno di quei piccoli, o più debole, o più incauto, o più egoista degli altri, volle staccarsi dai suoi per vaghezza dell’ignoto, o per brama di meglio, o per curiosità di conoscere il mondo; il mondo, da pesce vorace com’è, se lo ingoiò, e i suoi più prossimi con lui”.
Se è vero che per i poveri siculi di fine ottocento il timore di essere travolti dal fascino del progresso li faceva rimanere inchiodati e aggrappati alle loro certezze solite, è altrettanto vero che questo scossone alla base che stiamo ricevendo deve farci cogliere quali nuove strade percorrere.
Uno squalo ci ha appena ingoiati. Come reagire? Sono da riscoprire non più le conoscenze o il sapere o il capire, quanto chi essere. È necessario un atto di spoliazione per trasformare questi giorni chiusi nel deserto delle nostre abitazioni in un tempo favorevole per immergerci nelle nostre profondità e per avere il coraggio di far nascere nuovi fiumi di acqua viva da dentro di noi.
Ritornare all’Essenziale, alle fondamenta valoriali, ma anche della propria coscienza, delle proprie relazioni e del proprio stile di vita, per poter tornare a vivere trasformati e più “veri”, appunto. Ci siamo forse fatti assuefare da una credenza popolare generalizzata che appiattisce e che rende tutto automatico, ordinario e “normale”. C’è da riscoprire un nuovo modo di stare al mondo, di essere nel mondo e per il mondo. Ritornare ad essere ostriche, senza la paura di essere scardinate dal “solito” e conosciuto quanto, invece, consapevoli di avere al nostro interno una perla preziosa formatasi proprio dalle ferite dolorose ricevute.