Caro direttore,
ho letto con grande attenzione il comunicato stampa dell’ospedale Bambin Gesù “Un caso al giorno negli ultimi due anni tra tentativi e ideazioni di suicidio tra i giovanissimi”, recentemente pubblicato in occasione della Giornata mondiale dedicata alla prevenzione. Il documento illustra con chiarezza scientifica cosa sta accadendo nel mondo giovanile, l’impatto di questa situazione sull’ospedale e come questo si sia intelligentemente attrezzato per assistere gli adolescenti in difficoltà.
Il comunicato si chiude con questo passaggio del professor Stefano Vicari, responsabile di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza del Bambin Gesù: “La depressione e i disturbi d’ansia tra i giovanissimi sono in aumento esponenziale da anni. La pandemia ha solo accentuato il fenomeno. L’emergenza che investe i nostri ragazzi si combatte destinando maggiori risorse agli strumenti di prevenzione e di promozione della salute mentale. A cominciare dalla scuola, intesa come luogo che coltiva relazioni positive, alle strutture sul territorio perché siano in grado di intercettare il disagio e siano di supporto alle famiglie. Il suggerimento per i genitori è di offrire tempo ai propri figli, di porre attenzione ai segnali di malessere e, se ci sono cambiamenti nel comportamento, chiedere aiuto senza timore. Le malattie mentali, se affrontate nei tempi giusti, hanno un’alta probabilità di guarigione”.
Quello che mi ha colpito, e sul quale voglio brevemente soffermarmi, è il richiamo alla scuola come strumento per combattere l’emergenza che investe i nostri ragazzi. Avevo letto diversi articoli sul tema “disagio giovanile”, ma nessuno che coinvolgesse così direttamente la scuola, che la richiamasse autorevolmente ad un compito. Quando si scrive della crescita del disagio giovanile si chiamano in causa i social, la pandemia, il digitale, la famiglia… Mi sembrava che ci fosse un vuoto: come è possibile non chiamare in campo la scuola quando si tratta di adolescenti?
Invece le parole del professor Vicari sono molto chiare e a me riempiono questo vuoto: A cominciare (qui ne sottolinea il ruolo fondamentale) dalla scuola, intesa come luogo che coltiva relazioni positive (qui ne indica la caratteristica necessaria).
Ecco, la realtà ce lo impone: questo “luogo che coltiva relazioni positive” (con le discipline, con i compagni di classe e scuola, con e tra i docenti, con la realtà tutta, con la vita) ci sfida ogni giorno e può diventare, anche dove già se ne faccia esperienza, centro di gravità e punto di rinnovamento della scuola.
È un invito molto preciso affinché ogni scuola, ogni comunità di docenti, sia chiamata a confrontarsi e chiedersi come sia e possa sempre più essere luogo, ambito, realtà che combatte l’emergenza che investe i nostri ragazzi facendo accadere reali, concrete esperienze quotidiane (nella lezione in classe, nei corridoi, negli intervalli, nei laboratori extra didattici) di relazioni positive, relazioni che fanno crescere l’umano, la persona.
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