Caro direttore,
finiti gli adempimenti di questo anno scolastico assurdo e faticosissimo, in questi giorni sta affiorando in me un desiderio immenso di non perdere nulla di ciò che ho visto e vissuto nei messi appena trascorsi.

Ciò che è emerso con più evidenza è stata senza dubbio la mia fragilità, perché ho scoperto una sproporzione e talvolta un’inadeguatezza immense rispetto al compito che mi è stato affidato. Per la prima volta in quindici anni di insegnamento mi sono sentita travolta dagli eventi, tentata di accontentarmi del quieto vivere e della pura sopravvivenza.



Chi mi ha salvato dalla tentazione di vivere una vita piccola? I ragazzi: sempre loro! Sempre il loro viso, anche quando restava nascosto dietro una webcam spenta. Alcuni non li ho potuti vedere in presenza per più di cento giorni, alcuni li ho persi lungo il cammino, mentre altri fiorivano in circostanze all’apparenza sterili e impossibili. Li ho visti cadere mille volte e mille volte ricominciare. Li ho visti darsi il cambio tra impegno e svogliatezza, disillusione e curiosità.



Anche io, come loro, ho avuto un milione di volte la tentazione di evitare il sacrificio e mille volte sono stata ripescata da colleghi che nella mia stessa circostanza trovavano vie nuove e splendide per rendere amabile questo nostro mestiere, da amici che senza dire una parola urlavano con la vita una speranza e una grandezza che anche io desidero per me, dai ragazzi che dentro e fuori l’orario scolastico davano credito al rapporto che nei mesi è fiorito tra loro e con noi adulti.

Se dovessi fare il conto delle mie mancanze, forse non riuscirei nemmeno ad elencarle tutte, ma quando l’ho detto ad un caro amico, facendo il bilancio di questo anno di continue chiusure e ripartenze, lui mi ha trafitta con lo sguardo e mi ha detto: “Ma tu, quei ragazzi, li hai amati? Perché non c’è altra vera misura fuori da questa!”.



E allora il cuore è di nuovo in pace perché ogni anno sbaglio, e più di una volta, ma ogni anno mi scopro sempre più disponibile e grata per il servizio che mi è concesso di fare a cammini che incrocio per un tempo limitato, ma che restano con me per sempre.

Questo ho imparato di nuovo nell’anno che si chiude: servire il cammino di ciascuno per il tempo che ci è dato per stare insieme, e fare per ognuno un tifo sfegatato perché attraverso ciò che insegno (e la mia persona tutta) ogni studente che mi incrocia possa intuire che la vita è un’avventura meravigliosa e piena di speranza, anche nella più grande pandemia della storia recente.

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