È tempo di maturità e quindi sono in corso le scelte per il futuro di un nuovo gruppo dei nostri giovani. Una società aperta e che vuole puntare sul futuro investirebbe risorse, in questo periodo, per orientare le scelte dei neodiplomati al fine di accrescere il valore del capitale umano che contribuirà a migliorare il suo futuro. Anche fuori da logiche puramente economiche, il miglioramento della nostra società non può fare a meno di utilizzare al meglio l’energia positiva di una nuova generazione che, come quelle che l’hanno preceduta, ha il desiderio di contribuire ai processi di miglioramento del mondo in cui vive. Ed è compito della società fare in modo che tale desiderio possa contribuire realmente ai processi di miglioramento del benessere collettivo.
Per cercare di comprendere se e come ciò può avvenire possiamo guardare ai molti dati che in questo periodo sono stati diffusi. Molte sono le fonti che, a partire da Alma Laurea, puntano a far sì che vi sia un proseguo agli studi con la scelta dell’università. Per questo offrono un buon servizio di orientamento per abbattere il tasso di abbandono alla fine del primo anno. Tale tasso, particolarmente alto ancora negli ultimi anni, è indice di una scelta del corso universitario non corrispondente ai desideri e alle competenze dei giovani e dall’assenza di servizi di orientamento diffusi sul territorio.
I dati di Alma Laurea a favore dello studio universitario sono basati sul fatto che i laureati sono comunque più tutelati sul mercato del lavoro (oltre il 70% non ha problemi di disoccupazione nell’arco della vita) e che hanno salari medi superiori di oltre il 30% di quelli dei diplomati (nei paesi europei confrontabili il vantaggio è però superiore al 50%). Per quanto riguarda poi i percorsi di laurea in ingegneria, economia, statistica e per professioni sanitarie si hanno tassi di occupazione alla laurea dell’89% mentre è inferiore all’80% il risultato dei percorsi di laurea in materie umanistiche.
È però scarsa nel nostro Paese l’offerta di percorsi di studio post diploma che portino comunque a una formazione specialistica di livello terziario. Rispetto ai propri colleghi tedeschi che in ben 800.000 possono frequentare percorsi di formazione professionale da tecnici specialistici (con livello finale che certifica una competenza pari al percorso universitario non magistrale), i giovani diplomati trovano nel nostro Paese solo 11.000 posti analoghi. Eppure il mismatching esistente fra domanda di professionalità proveniente dal sistema economico e offerta di lavoro indica come vi sia grande necessità di una nuova offerta formativa di alto livello che affianchi il sistema universitario.
Nel frattempo il rapporto annuale dell’Istat ci informa che, pure in presenza di un aumento dei laureati nell’ambito della popolazione occupata, il mismatch interessa fino al 42% dei laureati nella fascia di età 20-34 anni. I laureati sono passati, fra il 2008 e il 2018, dal 17,1% al 23,1% della forza lavoro e quindi è cresciuto il livello di istruzione medio a tutti i livelli degli occupati. Non è cresciuta però nello stesso modo la domanda di lavoro qualificata. Sono aumentati alcuni lavori che richiedono un’alta formazione (laurea scientifiche, economico-statistiche e ingegneristiche), ma poi il sistema produttivo del nostro Paese, caratterizzato ancora da tante PMI, non crea una domanda di lavoro adeguata alla crescita della formazione su cui i giovani, nonostante tutto, hanno continuato a investire nel corso degli anni di crisi.
Come indica il rapporto Istat, l’Italia del lavoro esce dal decennio della crisi economica con diseguaglianze ancora più marcate di prima. Se pure siamo tornati al livello di occupazione di dieci anni fa, lo abbiamo fatto con un impiego solo parziale della forza lavoro occupata (le ore di lavoro complessive sono inferiori a quelle del 2008 ed è cresciuto il part-time involontario). A ciò va aggiunto che il livello dell’occupazione complessiva del 2008 è stato raggiunto per un incremento degli occupati concentrato nel nord del Paese mentre il mezzogiorno ha ancora un saldo negativo del 4% rispetto a 10 anni fa.
All’interno dell’occupazione sono poi aumentati i lavori più deboli, sia per aspetto contrattuale (a termine con durata inferiore ai 6 mesi) e nei segmenti meno qualificati. Anche fra i lavoratori autonomi sono cresciuti quelli senza dipendenti che indicano spesso condizioni di parasubordinazione. Dal 2014 è in corso però una crescita delle professioni più qualificate. La ripresa della domanda internazionale, delle nostre imprese che puntano sull’esportazione di beni di investimenti per il rinnovo tecnologico di molti sistemi produttivi (impresa 4.0) fanno sperare che gli investimenti in capitale umano e fisico possano proseguire e rispondere così alle esigenze occupazionali delle nuove generazioni. Un impegno alla riforma del settore pubblico a tutti i livelli e una decisa modernizzazione dei servizi locali permetterebbero a breve di recuperare il divario con il resto di Europa e renderebbero il desiderio dei giovani impegnati a formarsi un deciso investimento per migliorare il nostro futuro.