Una settimana fa si è conclusa la XXIII edizione dei Colloqui Fiorentini dedicata a Giovanni Pascoli. Un concorso letterario nazionale che si svolge a Firenze, durante il quale migliaia di studenti si riuniscono per dialogare e confrontarsi sullo scrittore o poeta italiano designato. La vera essenza dei Colloqui è che sono un vero “incontro”, non solo con gli studenti e i professori che partecipano all’evento, ma anche con l’autore proposto, del quale bisogna approfondire ogni aspetto umano e poetico. Ciò si traduce, in concreto, in un approccio nuovo agli autori, che va oltre la didattica scolastica, diventa un dialogo genuino e totalizzante e apre ad una conoscenza più vera.



Dunque, il confronto “puro” e appassionato con l’autore è il primo passo da compiere; tuttavia, a fare dei Colloqui Fiorentini un evento nazionale è l’incontro con gli altri studenti, e gli incontri e i dibattiti che esso presuppone. Quando si lavora a un progetto del genere, essi sono importantissimi per la stesura dell’elaborato; chiunque vi partecipa e prende la parola lascia intravedere una parte di sé, una eco della propria intimità. In questo modo l’incontro con Pascoli è diventato qualcosa di ancor più affascinante: la possibilità di conoscere la nostra parte più nascosta, i nostri bisogni più intimi.



La vera bellezza dei Colloqui si mostra durante il convegno di Firenze. Dal momento in cui si scende dal treno il solo vedere altri gruppi di studenti, venuti con lo stesso scopo, riempie il cuore di una felicità che nasce per il solo fatto di essere lì insieme. E che dire delle serate passate a cantare in piazza Santa Maria Novella, o sotto la cupola di Santa Maria del Fiore; serate musicali che non solo rallegrano noi studenti, ma che fanno la gioia anche di chi passa occasionalmente di lì? Ogni gesto si riempie d’un significato particolare che coglie solo chi vi prende parte, come l’applauso spontaneo che nasce per festeggiare una vittoria o per celebrare un relatore particolarmente apprezzato.



Emozionanti sono anche i seminari didattici che si svolgono nella città fiorentina, a lavori ormai completati, e nei quali i “colloquianti” offrono la propria testimonianza. Questi seminari sono sicuramente l’esperienza più costruttiva e, a parer mio, più significativa; durante questi dialoghi numerosi ragazzi prendono la parola e, seguendo una suggestione del relatore o una propria volontà, citano poesie, condividono interessanti considerazioni e parlano della loro esperienza personale. Forse la magia è proprio questa: ragazzi tra loro sconosciuti si riuniscono e, nascondendo la soggezione del pubblico, condividono un po’ della loro vita privata. Per questo ritengo che ricondurre questi dialoghi alla didattica sia riduttivo. L’entusiasmo mio e di tantissimi altri dimostra che nessun voto riempirà mai il nostro animo di una soddisfazione, pari a quella che si prova nel vedere sé stessi in qualcun altro, accomunati dalla medesima scoperta.

Come ha ben ricordato il poeta Davide Rondoni, durante il primo convegno di questa XXIII edizione, ogni volta che la nostra esistenza ci riserva un momento di crisi o di vuoto interiore, umanamente ricerchiamo qualcuno in grado di aiutarci, o meglio, qualcuno che possa “accrescerci”. E, si evince dall’etimologia della parola, sono proprio gli “autori” coloro che sono in grado di “farci crescere”, se noi siamo disposti ad accoglierne la parola. Sono coloro che possono consolarci quando i dubbi riempiono la nostra esistenza.

Insomma, alla fine dell’intero percorso, durato per me tre anni e nel quale ho potuto misurarmi con due grandi scrittori e un poeta italiani (Buzzati, Calvino, Pascoli, ndr), e tantissimi studenti come me, posso dire con certezza di essere cambiato in meglio: una esperienza che mi ha permesso di vivere con maggiore leggerezza questi anni scolastici e di guardare con più chiarezza al mio percorso futuro. Mi dispiace non poter più essere parte integrante del progetto dei Colloqui, e sono grato per avervi partecipato; per questo mi auguro che continuino a mettere “radici” nei cuori degli studenti.

Per concludere, voglio riconoscere il massimo onore a questa istituzione che, usando un’immagine pascoliana, come fosse uno scoglio “tra un nero immenso fluttuar di mare”, si erge a difesa dell’incessante imbarbarimento culturale che imperversa nella società di oggi, e che vede come unico baluardo l’esempio di chi a ciò si oppone. Una citazione e un ringraziamento particolari a tutti i professori che si dedicano con entusiasmo a questo progetto che richiede passione e impegno.

Gabriele Bendini

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