Un secolare paradigma fissa la cultura come esito del possesso di una più o meno vasta enciclopedia. L’Enciclopedia nata dalla filosofia francese di Diderot e d’Alembert infatti, è stata ideologicamente assunta – anche grazie alla successiva spinta della Rivoluzione francese – come riferimento del metodo del sapere e della cultura. E quindi applicata come ideologia dell’istruzione pubblica, intendendo per pubblica quella di Stato o autorizzata dallo Stato, pur se svolta da privati o altri enti.



Il giovane istruito e colto – secondo tale paradigma – deve possedere un sapere tendenzialmente enciclopedico. E lo Stato deve fornirglielo attraverso suoi funzionari preposti. Negli stessi anni, il giornale, la gazzetta, fissava un’enciclopedia quotidiana dei fatti che dovrebbe rendere più critico e aggiornato il cittadino.



Tale paradigma, con la presunzione di sistematizzare il sapere umano, ha fatto da modello per secoli all’idea stessa di cultura e di istruzione. Così nelle nostre scuole, un’enciclopedia per quanto raffazzonata e surreale, mescolata (male e confusamente) a saperi di impianto storicista e strutturalista e poi psicoanalista, ha dominato come modello unico nella produzione di programmi, più o meno rigidi, che lo Stato si incarica di passare ai suoi cittadini/figli attraverso i propri funzionari.

Così, ovviamente, la scuola è declinata sempre più da attività educativa ad attività istruttiva – ma di fatto educativa non dichiarata. La presunzione infatti di tale metodo è che solo in tal modo si edifichi un maggior senso critico dinanzi alla vita e alla società, facendo risiedere l’acquisto di senso critico nell’acquisto di nozioni e di saperi. Il che equivale a dire che il più colto ha più senso critico, facendo dei possessori di questo genere di cultura l’avanguardia critica della società, secondo un modello “giacobino” passato poi a modello marxista e gramsciano. Tale paradigma ha potuto inglobare anche saperi opposti, deviazioni, aggiunte infinite, senza variare nei suoi presupposti. Ma l’esperienza ci mostra che molto spesso un dottorato, che so, di un Politecnico è provvisto di meno senso critico di mia nonna Peppa (seconda elementare). Senza contare i disastri sociali compiuti proprio dai molto “colti”.



Il fallimento di tale impostazione è sotto gli occhi di tutti coloro che non li tengono chiusi.

A questo impianto enciclopedista e statalista dell’istruzione si sono adeguati, in cambio di permessi e finanziamenti, anche gli enti di istruzione cosiddetti liberi, di matrice cattolica o d’altro genere, e tutti quelli che hanno cercato vie diverse dalla scuola di Stato si sono dovuti adeguare pena la mancanza di valore legale del titolo di studio.

Sembra che tale paradigma e impianto siano gli unici possibili, e dinanzi al loro fallimento, invece di cercare altre strade, si preferisce un’attività di continua riforma-nonriforma, correttivi secondari, aggiunte, burocratizzazione, patetiche immissioni o iniezioni di cura di soft o character skills, laboratori, etc.

Non avendo apparente alternativa si trasforma la scuola in un teatro surreale per insegnanti, genitori e ragazzi, piuttosto che cambiare radicalmente.

Occorre invertire rotta.

Non si tratta di inventare. Da un altro libro, ben più antico e saggio dell’Encyclopedie, arriva una potente indicazione di metodo educativo e formativo.

Il bello è che è sotto gli occhi di tutti, purtroppo grazie a una sua perversione attuata dallo show business.

La parabola dei talenti, contenuta nel Vangelo di Matteo (25,14-30) indica un metodo di educazione e formazione della persona radicalmente alternativo.

Non a caso i talent show (al di là dell’aspetto di entertainment in cui tale parabola è stata ridotta) ha attirato l’attenzione dei giovani. Ma gli adulti non hanno capito o voluto capire.

In quasi nessuna scuola delle centinaia che ho girato, ho trovato qualche adulto che avesse raccontato ai ragazzi la provenienza antica e sempre nuova dell’idea di Talent.

In quella parabola, valida ben al di là delle questioni di fede, si invita a scoprire di quale talento si è dotati (non quale si immagina di avere, ma quello ricevuto), si invita a metterlo in gioco, e si ammonisce chi non lo fa promettendo l’inferno, cioè, laicamente, promettendo a chi accetta di vivere per motivi di comodo o di tornaconto senza offrire il proprio talento alla società, di incorrere nel guaio (peggio che infernale) di accorgersi troppo tardi di aver vissuto, ma non la propria vita. Chi non gioca il proprio talento rischia l’inferno di vivere la vita di un altro e non la propria.

Vogliamo una scuola dei talenti, non una scuola che indifferente al talento personale livelli una presunta formazione con una enciclopedia che obbliga i ragazzi a essere tutti uguali e ad aver la “sufficienza”.

È possibile immaginare una scuola superiore di quattro anni, più uno eventuale.

Nel primo anno si rafforzano le competenze di base elementari – lingua, scrittura, matematica, antropologia, arti e educazione fisica.

Nel secondo anno, accanto alle competenze di base (lingua, scienza, arte ed educazione fisica) si inizia un percorso di verifica dei talenti attraverso attività con adulti formatori già attuatori del proprio talento (intendendo per talenti quelli generali di cura, impresa, tecnico, artistico, organizzativo…).

Dal terzo anno, senza abbandonare momenti di formazione linguistica, scientifica, antropologica e artistica, tali talenti si verificano maggiormente attraverso attività che li connettono a saperi collegati (chi ha talento per la cura, ad esempio, approfondirà alcuni elementi di medicina, di psicologia, di chimica, di fisiologia etc., chi ha talento per la cucina un po’ di geografia e di chimica la deve sapere, etc.) anche con attività di laboratorio e bottega con adulti educatori come sopra.

Il quarto anno si passa affinando la preparazione teorica e pratica correlata alla messa in gioco del proprio talento, con laboratori, visite a luoghi di lavoro, seminari con specialisti, piccoli esperimenti o messe in gioco in situazioni lavorative inerenti.

Il quinto anno (facoltativo) si passa tra momenti di formazione generale e momenti di stage/laboratorio introduttivo alle dinamiche del lavoro presso adulti formatori.

Le caratteristiche principali di una tale scuola dei talenti risultano essere: metodo innovativo di valorizzazione degli alunni, metodo induttivo dei saperi, pochi insegnanti fissi e una comunità adulta formativa in reale osmosi scuola-società, classi con nucleo di ore comuni e attività in diverse community, flessibilità organizzativa, rapporto reale con mestieri e professioni.

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