Quello di “scuola costituzionale” è il concetto guida più caro a Giuseppe Valditara, ministro del’Istruzione e del Merito, che oggi parlerà al Meeting di Rimini su “L’educazione non è accumulo: le competenze non cognitive”. Valorizzazione del talento e del merito, riforma dell’istruzione tecnica e professionale, nuove linee guida dell’educazione civica, orientamento, ripristino dell’autorità del docente, riconoscimento contrattuale, alleanza scuola-famiglia sono le molte tessere di un mosaico che Valditara ha ricomposto in questa intervista, in cui conferma di andare avanti, con anche gli investimenti necessari, nella strada intrapresa.
Ministro, partiamo dalla riforma dell’istruzione tecnica e professionale, che ora è legge. Non tutti sono a favore.
La riforma è avversata perché ci sono ancora parti del mondo della scuola che contrappongono la cultura al lavoro. È l’idea gramsciana della scuola unitaria: un percorso uguale per tutti.
Dove sta l’errore?
Manca in questa visione l’idea tipicamente costituzionale dei talenti e della valorizzazione della persona. I costituenti ruppero con i totalitarismi che subordinavano la persona allo Stato, innanzitutto quello fascista, ma analogo discorso può valere anche per quelli comunisti. Non a caso Togliatti era restio ad accettare la visione personalista. In una parte della sinistra è rimasta questa avversione verso la centralità della persona e per conseguenza verso la personalizzazione della formazione.
La riforma può essere una svolta, ma occorre che sia recepita come tale, nelle sue potenzialità, innanzitutto dalle famiglie.
Vero. Occorre puntare molto sull’orientamento. Da settembre partirà una grande campagna di orientamento e di sensibilizzazione delle famiglie. Ma è anche per questo che ho voluto fortemente il docente orientatore, il cui riconoscimento è ora anche contrattuale, con una retribuzione aggiuntiva.
Torniamo alla cultura del lavoro, tanto importante quanto negletta.
La scuola deve valorizzare il principio costituzionale del lavoro. Le nuove Linee guida dell’educazione civica ne parlano espressamente.
Nelle Linee guida c’è una nozione importante, quella di “scuola costituzionale”. Non è molto familiare nella scuola. Cosa significa?
La scuola costituzionale è quella che mette al centro la persona dello studente, valorizzando i suoi diversi talenti, perché la bellezza della persona è la sua ricchezza, le sue diversità e al tempo stesso la sua unicità. Non siamo dei cloni e si sbaglia quando si ragiona come se lo fossimo. Le diversità sono sempre fattori di arricchimento, ma innanzitutto occorre saper riconoscere le doti del singolo studente, le sue potenzialità. La riforma dell’orientamento e quella del 4+2 presuppongono questa visione. La nuova istruzione tecnica e professionale (4+2, ndr) è finalizzata proprio a questo, a dare opportunità ai tanti, diversi e straordinari talenti che i nostri giovani hanno. Visitando le scuole tecnico-professionali ho visto all’opera intelligenze e creatività eccezionali, che non possono, non devono andare perdute. Un percorso forzatamente unitario tarperebbe le ali di questi giovani.
Il 4+2 è ormai delineato. Vede all’orizzonte problemi attuativi?
No. La sperimentazione partirà a settembre in circa 170 scuole, contiamo di incrementarle il prossimo anno, ci saranno nuove risorse, circa 30 milioni, che investiremo sul 4+2, stiamo lavorando perché anche il privato finanzi il nuovo percorso. Non dimentichiamoci poi che la riforma opera a invarianza di organico, pur essendoci un anno in meno. Credo comunque che sarà la bontà stessa del percorso a dimostrare la sua modernità e la sua necessità. I giovani entreranno nel mondo del lavoro un anno prima senza perdere in competenza formativa, dal momento che puntiamo sulla qualità piuttosto che sulla quantità.
Quanto al curricolo, perché ha voluto il potenziamento di italiano, matematica e inglese?
Perché su queste discipline, che sono fondamentali, c’era rispetto ai licei un gap formativo, che occorre colmare il prima possibile. Gli stessi dati Invalsi ci dicono che sono queste le tre materie su cui è maggiore la distanza di preparazione.
A proposito, come commenta gli ultimi dati Invalsi, soprattutto quel rilevante divario territoriale tra Nord e Sud?
Già l’anno scorso, di fronte al ripresentarsi di dati che erano certamente più inquietanti, dissi che abbiamo un compito importante: riunire l’Italia dal punto di vista della formazione. Dobbiamo dare le stesse opportunità formative ai giovani, indipendentemente dall’area del Paese in cui vivono. Partendo da questi presupposti è nata Agenda Sud. Abbiamo investito nelle 245 scuole più a rischio dispersione indicate dallo stesso Invalsi e in tutte le scuole primarie del Mezzogiorno: rispetto al 2023 un primo, significativo recupero rispetto al Nord c’è stato. Al Sud il miglioramento delle prestazioni in italiano e matematica è risultato sensibilmente maggiore rispetto a quanto avvenuto nel Centro-Nord, dove pure vi sono stati miglioramenti rispetto all’anno precedente. E questo è incoraggiante.
Fin dal suo ritorno, l’educazione civica ha spiazzato i docenti. Prima era una cenerentola confinata al tempo residuale dei prof di storia; oggi abbiamo le Linee guida, ma i docenti si chiedono: chi deve occuparsene, e cosa dobbiamo fare?
Nella parte introduttiva è detto molto chiaramente che ci sono 33 ore da gestire e che a distribuirle, là dove non ci sono docenti di materie giuridico-economiche, deve essere il collegio docenti. Ritengo che proprio in omaggio alla trasversalità che viene affermata, l’educazione civica dovrà poi innervare tutta la didattica.
Perché questa scelta?
Centralità della persona significa centralità della solidarietà, del lavoro, della libertà, primato della responsabilità individuale su quella sociale – che non può annullare la prima –, eguaglianza nel godimento dei diritti e nella soggezione ai doveri, valorizzazione dell’iniziativa economica privata, e poi valorizzazione dell’appartenenza alla comunità locale, e nazionale, considerazione dell’appartenenza ad una comune civiltà europea come parte di una più ampia civiltà “occidentale”.
Senza dimenticare la patria, insomma.
Esatto. Il costituente parla espressamente di Patria, la cui difesa è “sacro dovere del cittadino”. È un concetto che si è perso strada facendo. E si è perso perché è stato lentamente sostituito da una visione che aveva poco a che fare con quella che aveva ispirato tutti i costituenti. Nel dibattito costituente si fa riferimento alla patria come ad un valore, qualcosa di totalmente diverso e distante dal nazionalismo.
Dove sta la differenza?
Il nazionalismo presuppone la superiorità di una nazione sull’altra, l’arroganza, la supremazia, fino al conflitto. La patria e la sua comunità nazionale rimangono invece un mondo di valori, di radici, che deve essere riconosciuto perché il cittadino possa crescere con una identità solida. A mio avviso è la strada maestra ancora oggi per affrontare il problema dell’integrazione degli stranieri e degli studenti stranieri nello nostre classi: condividere i valori, a cominciare da quelli costituzionali.
Un esempio concreto?
Se non si condividono il principio di uguaglianza uomo-donna, il pluralismo e la laicità dello Stato, il rispetto verso ogni religione, è chiaro che si misconosce il senso della nostra Costituzione.
Lei continua a insistere su due aspetti. Il primo è quello del talento e poi del merito. Che differenza c’è?
Il talento sono quelle predisposizioni, potenzialità e abilità che ogni persona ha e che costituiscono la sua unicità e la sua bellezza e che devono essere valorizzate. Il merito non è il raggiungimento di risultati astratti di eccellenza. Se noi facessimo solo questo, avremmo una scuola elitaria, aristocratica, non una scuola costituzionale. Il merito è fare in modo che i talenti di tutti siano valorizzati. Ne discendono due compiti: quello della scuola e degli insegnanti, individuare e valorizzare i talenti, e quelli degli studenti, che devono impegnarsi, cioè metterci la propria responsabilità: il merito presuppone l’impegno.
Il secondo aspetto è l’autorevolezza dei docenti.
Va ricostruita perché è in crisi. È un percorso di tipo culturale, ma è anche una sfida sociale. Oggi nella società, al di là di tante chiacchiere, la figura del docente non viene messa al primo posto.
Di chi sono le responsabilità?
È un discorso lungo. Partiamo con il considerare i docenti dei veri “professionisti della conoscenza” e non semplici “lavoratori della conoscenza”. Occorre esaltarne la professionalità individuale. Poi è importante riconoscerne l’autorità.
Quindi?
Stiamo lavorando per ripristinare nelle nostre scuole l’autorevolezza degli insegnanti e anche la loro autorità. Autorità, nonostante le apparenze, è un concetto molto democratico, se si considera la sua origine, che viene da augere, far crescere, rafforzare. Rafforzare le competenze e la maturazione degli studenti.
Gli strumenti che lei ha introdotto sono noti: voto in condotta, protezione da parte della Avvocatura dello Stato per i docenti oggetto di violenza. Ce ne sono altri?
Tutti gli strumenti che permettono ai docenti di farsi rispettare sono fondamentali. Va in questa direzione la multa fino a 10mila euro per i genitori che li aggrediscono. Decisivo è poi l’incremento dello stipendio grazie alla opportunità di stipulare due contratti in due anni, mai successo prima. Abbiamo poi iniziato a introdurre benefici e facilitazioni di welfare per rafforzarne la posizione sociale: abbiamo introdotto l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, accordi con le banche per avere sconti sul conto corrente e sui mutui, sconti sui mezzi di trasporto, stiamo lavorando per un’assicurazione sanitaria.
Parliamo del contratto.
Sono stati fatti progressi importanti. Nel contratto che ho concluso tre settimane dopo il mio arrivo, chiudendo una vertenza aperta da tre anni, abbiamo riconosciuto ai docenti l’aumento più rilevante fino ad allora percepito. Abbiamo anche valorizzato la professionalità: il docente tutor prende quasi 5mila euro in più all’anno, ci sono riconoscimenti retributivi per i docenti che fanno potenziamento disciplinare. Nella scorsa legge di bilancio abbiamo poi stanziato 3 miliardi per il nuovo contratto, che vorremmo chiudere entro il 2024. Con questi due rinnovi nel giro di due anni andremmo ad aumentare gli stipendi di circa 300 euro al mese. Senza contare la diminuzione del cuneo fiscale, che ha comportato un ulteriore aumento dello stipendio. Sono progressi che fanno scalare posizioni ai docenti italiani nel confronto europeo.
Sul sostegno è stato molto criticato dai sindacati e dall’opposizione il coinvolgimento delle famiglie. Si è detto che lei farebbe così entrare i “privati” nella scuola.
Mi sono sembrate francamente critiche assurde. Abbiamo per la prima volta consentito alle famiglie di chiedere la continuità sul posto di sostegno. Se le famiglie sono soddisfatte del docente di sostegno precario, anziché cambiarlo ogni anno come è stato finora, dal prossimo anno scolastico potranno chiederne la conferma. Ciò potrà garantire la continuità didattica per decine di migliaia di posizioni. Le famiglie non sono “i privati” che entrano nella scuola. È la scuola che riconosce alle famiglie, come dice l’articolo 30 della Costituzione, il diritto di educare, istruire e formare i propri figli.
Il suo piano per tenere aperte le scuole d’estate ha avuto buona accoglienza?
È un esperimento che ha visto la collaborazione di 5.500 scuole, che ha coinvolto complessivamente 950mila ragazzi, ci arrivano notizie di grande entusiasmo. Ricreazione, gioco, sport, cultura, ma anche potenziamento disciplinare, laddove è stato chiesto. È un esempio virtuoso di alleanza scuola-famiglie, perché si dà ai figli un punto di riferimento solido e affidabile. Intendo potenziare sempre più questa opportunità in favore di quelle famiglie e di quei giovani che quando arriva l’estate entrano in crisi.
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