Ormai lo sappiamo: Governo che sale, valutazione scolastica che cambia. E infatti il Governo in carica ha disposto un emendamento (al ddl S 924 bis) che ordina l’abrogazione della norma del Governo precedente e incarica l’attuale ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara di emanare un’ordinanza che ristabilisca la modalità anteriore di dare i voti, in pagella e non. Ma già detta così è difficile da capire, perché si tratta di una materia dove i cambiamenti sono ripetuti, confusi e mutevoli, esattamente come una banderuola al vento che soffia ora da destra e ora da sinistra. Occorre tentare di spiegarsi, con poca speranza di farsi capire.



Il voto con cui gli insegnanti valutano i progressi o meno degli studenti ha varie possibilità. Può essere una descrizione, un piccolo discorsetto scritto finale in cui si cerca di tratteggiare un profilo narrato del ragazzo; può essere al contrario numerico, principalmente usando i voti da uno a dieci (ma, se si pensa all’università, la cifra è moltiplicata a sua volta per dieci ed entra in ballo tutto un delirio di crediti e frazioni); può essere una parolina, di solito Ottimo, Distinto, Buono, Sufficiente, Insufficiente, com’era prima dell’ultima svolta; può essere la definizione di un “livello”, com’è stato finora, prima dell’ennesima, attuale giravolta: Avanzato, Intermedio, Base, In Via di Prima Acquisizione. Quest’ultima trovata fu del ministro dell’Istruzione Azzolina, Governo giallorosso; i numeri li aveva reintrodotti invece il ministro Gelmini, Governo di centrodestra, in carica fino al 2011, dopo anni di giudizio “discorsivo”.



Si capisce dunque che il modo di dare i voti è influenzato un po’ dall’ideologia politica: volendo semplificare grossolanamente, il numero corrisponde a un’idea di ordine e rigore della destra, mentre la parolina, più o meno attenuata, corrisponde alla permissività e allo sfumare delle differenze di merito della sinistra. Ma sarebbe già semplice se fosse così: il voto numerico, ad esempio, ha attraversato indenne ministeri di sinistra, come quello di Valeria Fedeli, la cui titolare veniva dall’esperienza sindacale della Cgil.

Va poi detto che ogni modifica ambisce a riformare radicalmente il modo di valutare i ragazzi; ma ogni volta si ferma subito e, chissà perché, sempre alla scuola primaria, come una grande ondata che vorrebbe coprire ogni ordine scolastico e si infrange invece sulla spiaggetta della scuola elementare. Anche stavolta, c’è da scommetterci, andrà così. Non solo chi è esterno al mondo della scuola stenta a raccapezzarsi: succede anche a chi ci lavora e a chi ci porta i figli. Il sistema in vigore adesso, ad esempio, che è quello dei livelli, risulta per la stragrande maggioranza delle persone che lo utilizzano incomprensibile. Tutti chiedono: ma cosa significa “intermedio”? Risposta dei docenti: quello che era il “buono” di una volta, forse anche il “distinto”, un pochino… Domanda successiva: e in numeri quanto fa? Mah…può essere otto, talvolta sette, forse nove meno… E avanti così, in una specie di scenetta della commedia dell’arte.



Si fa evidente ancora una volta lo scollamento tra la dirigenza della scuola e la realtà. Se certi metodi di valutazione possono anche rispondere a una buona idea teorica, di fatto le necessità pratiche della vita quotidiana stanno da tutt’altra parte. Inoltre ci si trova sempre in un regime di precarietà e transitorietà, persino con i Governi che hanno una solida base parlamentare. Si va avanti per toppe e rammendature, il disegno generale è presto perduto, se mai ce n’è uno, e al prossimo soffio di vento la bandiera, e i voti, cambieranno orientamento di nuovo.

La valutazione è un tema basilare nel lavoro degli insegnanti, necessiterebbe di una riflessione lunga, diffusa, aperta a tutte le componenti che girano intorno alla scuola; farla con un emendamento del Governo e un’ordinanza ministeriale significa non avere la volontà né di capirci né di far capire niente a nessuno.

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