Nell’appello inviato giorni fa da pedagogisti, docenti, ma anche (chissà a che titolo specifico) da personaggi del mondo dello spettacolo (Luca Zingaretti e Claudia Gerini, Moni Ovadia e Claudia Pandolfi per fare qualche nome) al ministro Giuseppe Valditara perché eviti l’annunciato ritorno ai voti numerici nella scuola di primo grado (meglio nota come scuola elementare) si avverte il ritorno di una posizione preconcetta: pensare che i bambini non siano in grado di accettare un giudizio chiaro e ben spiegato sul loro operato. Il tentativo di tenerli protetti sotto una campana di vetro, specchio di quella scuola dell’inclusione che tanto va di moda e che, fermo il principio sacrosanto per cui nessuno dev’essere lasciato indietro, ha finito con appiattire didattica, apprendimenti, meriti e, dunque, anche giudizi.



Un passo indietro: il mese scorso il ministero dell’Istruzione ha annunciato il superamento del sistema di valutazione in uso dal 2020, basato su quattro livelli riportati in pagella e che hanno la pretesa di sintetizzare al massimo la media riportata nel complesso delle materie: in via di prima acquisizione, base, intermedio, avanzato. Livelli che, è bene precisare, non vengono utilizzati in itinere, cioè durante l’anno, per cui alunni e genitori si trovano a fine quadrimestre con una scheda che non corrisponde ai valori espressi in una interrogazione o in un compito in classe. Si tratta di un mistero della nostra scuola che si somma, in verità, ad altri, giusto per dare man forte al sistema burocratico in cui è destinata ad affogare. Ma torniamo al punto. Cosa significhi nel concreto ciascun livello non è chiaro, così che nella sua indeterminatezza sta anche la sua forza: meno un giudizio è preciso, più spazio viene lasciato al principio in base al quale l’alunno verrà promosso (e si ridurranno le possibilità di ricorsi al TAR, negli anni via via aumentati nonostante costino fra 4 e 8mila euro l’uno e anche se uno solo su dieci viene accolto).



Valditara vorrebbe tornare ai giudizi precedenti: insufficiente, sufficiente, discreto, buono, ottimo, con la possibile aggiunta di gravemente insufficiente, forse accompagnati dai voti numerici, precisando che “la riforma non elimina la descrizione analitica dei livelli di apprendimento, ma rende i giudizi più comprensibili a tutti”. A sentir parlare di numeri si rizzano i capelli in testa a molta gente, in special modo se con la scuola ha poco o niente a che fare. La stessa che ora protesta perché il ministero non ha ascoltato il parere dei docenti, ma che non ha avuto nulla da ridire quando gli stessi non sono stati ascoltati con la riforma precedente e, a ben vedere, non sono stati ascoltati mai (ogni nuovo contratto di lavoro collettivo dei metalmeccanici, ad esempio, viene sottoposto a referendum, perché quello degli insegnanti no?).



Ma evitiamo facili polemiche. Il braccio di ferro sul sistema di valutazione dimostra in sostanza due cose. Anzitutto che i continui cambiamenti, i dubbi, i ripensamenti (vedi il caso dell’esame di Maturità, ormai ridotto a fantasma di se stesso) rispecchiano la perdita di identità in cui si dibatte una scuola che in via generale non sa più chi è, cosa vuol chiedere, cosa è in grado di ottenere e, soprattutto, perché. Una scuola che, avendo paura di esprimere giudizi chiari, evita di farli e sceglie la facile scorciatoia dell’indeterminatezza e gli alunni si convincono, come in una vecchia canzone di Caterina Caselli, che “nessuno mi può giudicare, nemmeno tu”.

In secondo luogo – ma a stretto contatto col primo – che chi la governa, a tutti i livelli, confonde il voto (numerico o meno che sia) di una interrogazione col giudizio su chi l’ha preso. Così che una insufficienza, specie se grave, dev’essere cassata a priori (non parliamo di una bocciatura, ormai rara come le mosche bianche) per non demoralizzare, mandare in crisi, deprimere il povero malcapitato. Il quale, così facendo, esce dalle elementari convinto che tutto va bene, comincia ad avere qualche dubbio quando incoccia in una insufficienza alle medie inferiori e va davvero in crisi davanti ad un 4 alle superiori (per non dire delle delusioni che gli riserverà tutto il resto dell’esistenza). Nessuno gli ha mai ricordato di valere più del voto, anche quando è un 10 pieno e che è meglio sapere con esattezza cosa vale davvero un compito in classe piuttosto che fingere che tutto proceda nel modo migliore. Alla faccia della maturità, quella vera.

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