All’inizio di un anno scolastico e in coincidenza con l’ennesima campagna elettorale emerge ancora una volta con chiarezza che nel discorso pubblico pochissimi hanno a cuore la scuola.
Si parla sempre di quisquilie (prima i banchi a rotelle, adesso i sabati in Dad) e si trascurano le cose importanti: orientamento, autonomia, valutazione, burocrazia (e magari adeguati impianti di aerazione, dato che il Covid non è sparito). Per non parlare dell’essenziale: eccezioni a parte, chi si cura del rapporto educativo?
Perché pochissimi discutono con competenza di scuola e in ogni caso non riescono a incidere sul dibattito pubblico?
Eppure se si considerano alunni e lavoratori coinvolti nel mondo dell’educazione (tra scuola primaria e secondaria di secondo grado), sicuramente si ottiene una grande percentuale di famiglie italiane.
Con un po’ di sociologia spicciola si può forse ipotizzare che decremento e invecchiamento demografico incidano negativamente sull’interesse nei confronti della galassia scolastica. Noi docenti, inoltre, non brilliamo certo per intraprendenza sul fronte delle pubbliche relazioni: molti passano il tempo a cercare di schivare gli incarichi più strampalati che i dirigenti scolastici cercano di distribuire, mentre i più seri provano a studiare e documentarsi (sul digitale, naturalmente; non certo sulla propria disciplina…).
Basta questo a spiegare la mancanza di discussione sulla scuola?
Del deserto mentale dei nostri politici ha già scritto efficacemente Riccardo Prando. D’altra parte, molti di loro sono figli di questa scuola. Viene il dubbio che appartengano alla folta schiera degli analfabeti di ritorno.
Ci sarebbe da dire qualcosa anche sui mass media. Possibile che non si riesca a metter su qualche seria inchiesta che ponga l’attenzione sul ruolo dei dirigenti scolastici, sul peso della burocrazia, sullo strapotere dei sindacati, sulle possibili forme di valutazione dei docenti… insomma: che riesca a far capire qualcosa ai non addetti ai lavori e magari a porre sotto i riflettori in modo continuato il problema educativo?
Certo: se gli adulti autorevoli mancano e, soprattutto, se la loro testimonianza non è riconosciuta o sentita come decisiva dalla società, sarà difficile che qualcosa cambi. Si ridurrà sempre tutto a una questione economica, o a uno scontro ideologico tra statale e privato, o a un’analisi dei problemi psicologici delle persone coinvolte nel processo educativo.
Sarà bene ricordarlo: perfino negli anni infausti del virus d’origine cinese, la scuola è stata considerata importante solo come mezzo per consentire ai genitori di tornare al lavoro il prima possibile o come luogo di socializzazione per i giovani. Dell’importanza di chi insegna e di ciò che si insegna, pochissimi si interessano.
Il preside Alessandro Artini ha giustamente osservato che “la riforma della scuola non è solamente un problema di soldi, ma soprattutto di significati e prospettive ideali”.
“Significati e prospettive ideali”? Stiamo scherzando? Che roba è?
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.