Un vecchio proverbio insegna che non è consigliabile fare le nozze con i fichi secchi. Riteniamo che sulla scuola, sull’istruzione, sul rapporto educativo che accade nelle aule scolastiche (mai ovvio e sempre da ricreare) si debbano investire risorse umane, anzitutto. Ma anche i soldi, in questo particolare momento, non sono una variabile indipendente. Una società che vuole ripartire e mettere al centro la scuola dovrebbe accordarsi anche sugli investimenti a disposizione.
Il prossimo 26 settembre le organizzazioni sindacali scuola di Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda manifesteranno a Roma per quello che si preannuncia come un mezzo sciopero contro la ministra Azzolina. Tra le motivazioni del gesto, si legge nei comunicati sindacali, vi è la riaffermazione del “ruolo centrale e prioritario della scuola e della conoscenza come condizione di crescita del Paese” e la denuncia di “ritardi e incertezze che accompagnano l’avvio dell’anno scolastico”. I suddetti sindacati in questo caso si porranno a ruota del Comitato “Priorità alla scuola”, principale promotore della mobilitazione e nato in seguito a una lettera dell’aprile scorso inviata alla ministra dell’Istruzione, che ricevette 85mila adesioni online e nessuna risposta da parte governativa.
Nella lettera, chiara espressione di un disagio diffuso tra le famiglie italiane, si faceva riferimento al rischio del ripetersi di una chiusura della scuola con grave danno per quello che si configura come un diritto all’istruzione per le fasce della popolazione in età scolare. In modo particolare la lettera paventava il ripetersi delle inadempienze della didattica a distanza per mancanza di infrastrutture adeguate (banda larga, piattaforme didattiche digitali eccetera) e di connessioni domestiche. Ancora, il documento faceva presente che “asili nido e scuole dell’infanzia non possono ricadere sotto la voce didattica a distanza”. In conclusione gli estensori dell’appello sollecitavano un “piano di riapertura delle scuole e degli asili adeguato ai bisogni dei bambini e degli adolescenti, e un intervento finanziario importante per garantirlo”.
Dalla fine del lockdown ad oggi, sia il Comitato che i sindacati si sono ritrovati in piazza per alzare la voce e protestare. Se andiamo al tema “investimento in istruzione”, tutti sono stati concordi sulla cifra di 3 miliardi e mezzo da utilizzare subito per le varie necessità. Questo numero, quantomeno, era ventilato dai sindacati scuola in occasione dello sciopero dello scorso 8 giugno: 3 miliardi per fare che cosa? Per avere più docenti (100mila, 200mila?) e più personale Ata, a fronte di classi meno numerose e spazi allargati onde permettere il distanziamento sociale.
Ricordiamo che la stessa cifra fu richiesta e non ottenuta dall’ex ministro Fioramonti, dimissionario per non essere stato ascoltato. Se questa è la linea del Piave per chi protesta (3 miliardi), quanto il governo ha veramente messo a disposizione?
Ebbene, con il decreto Agosto, pubblicato lo scorso 14 agosto, e le risorse in precedenza stanziate con il decreto Rilancio, si arriva a quota 2 miliardi di euro circa: i fondi verranno soprattutto impiegati nell’assunzione straordinaria (a tempo determinato) di personale docente e Ata.
Nonostante questa disarmante evidenza, fonti governative rilanciano altre prospettive. Si parla di 7 miliardi, messi a disposizione della scuola dall’inizio dell’anno scolastico, e si considerano i fondi a disposizione in conto capitale e inscritti a bilancio (tra questi i finanziamenti europei) come se fossero risorse spendibili in spesa corrente. Se questo è vero (vorremmo sbagliare, ma non pare) ne deriva che tutti dovremmo imparare ad assumerci delle precise responsabilità.
I docenti, quella di insegnare il bello e il vero agli alunni attraverso gli infiniti e imprevedibili intrecci disciplinari. Le scuole autonome, quella di fare tutto con ciò che hanno a disposizione (rapporti tra istituzioni e territorio) per garantire la praticabilità e l’incremento degli spazi. I sindacati, quella di non ritenersi assolti dagli errori storici che li hanno resi parte in causa del sistema, solo perché proclamano delle agitazioni. E chi governa la macchina quella di non diffondere illusioni e non vivere di slogan.
Il Paese sopporta la verità, imparata dall’emergenza Covid, meglio di una qualunque simulazione mascherata da trovata pubblicitaria.