“Anfibio”: dal greco amphíbios, “dalla doppia vita” (…) Di organismo animale o vegetale capace di vivere in due ambienti diversi, acquatico o terrestre”. Così il Dizionario Treccani definisce alcuni animali; ma l’aggettivo “anfibio”, per chi lavora nel mondo della scuola, evoca una figura in particolare, interstiziale fra la dirigenza e il corpo docente: ossia, il vicepreside, o meglio, come si dice più correttamente oggi, il vicario del dirigente scolastico. Il vicepreside, una volta, era un docente di lungo corso di un istituto che si accollava l’onore e l’onere, in un mondo in cui la burocrazia scolastica era ancora limitata, di compilare l’orario, di scrivere e controllare le circolari, di aiutare in segreteria, di accogliere i docenti neo-immessi in ruolo o al primo incarico, e così via.



Oggi, però, le scuole (primarie o secondarie) di secondo grado sono diventate sempre più complesse quanto a organizzazione e nelle loro attività, e spesso sono state accorpate negli istituti comprensivi, con migliaia di studenti di età diversissime fra loro (dalla scuola dell’infanzia i poi), provenienti da famiglie di ogni tipo, con necessità ed esigenze fra le più disparate, e un’organizzazione sempre più complessa: diventate sempre più vaste anche le responsabilità e le competenze del dirigente, diventa allora vitale anche la figura del vicario, indispensabile figura a fare da cerniera e snodo – e direi, da facilitatore – in un corpo – l’istituzione scuola – diventato di una complessità inimmaginabile per chi non la vive dal di dentro, o per chi ricorda com’era la scuola solo un paio di decenni fa.



Per poter svolgere al meglio questo compito, visto che anche il lavoro del docente si è via via negli anni caricato di una mole di adempimenti burocratici crescente e direi financo minacciosa (le “scartoffie di scuola”, come le chiama una mia collega quando è sepolta fra Pdp, monitoraggi dei medesimi, programmazioni, relazioni finali, programmazioni di area disciplinare, e chi più ne ha, più ne metta), il vicario solitamente ha un esonero dall’orario di docenza curricolare. 

Ma attenzione: l’esonero non è automatico, né totale: dipende dalle dimensioni dell’istituto e dal suo grado di complessità. Siccome nessuno è masochista, solitamente, se una persona lavora come insegnante è perché le piace stare in classe e insegnare: ma poiché le ore del giorno sono solo 24 – e qualcuna la si deve pure dedicare a dormire e alla famiglia – e le incombenze sono tante, sia per chi sta in classe, sia per chi svolge attività organizzative e di raccordo, si capisce quindi che il vicario del dirigente è una figura che deve avere un equilibrio mentale ferreo, e dei nervi a prova di bomba. 



Senza contare che, come si è visto negli ultimi anni, sono i vicari molto spesso a costituire una sorta di memoria storica dell’istituto, essendo, spesso, insegnanti di lungo corso, mentre le recenti procedure concorsuali hanno portato all’assunzione di nuove figure dirigenziali; le quali, a loro volta, spesso erano forti di una lunga attività come vicari nelle scuole di provenienza, di ordine e tipologia diversissima rispetto agli istituti che sono andati a dirigere.

Eppure, questo ruolo non ha ancora nessun tipo di effettivo riconoscimento formale. Nella scuola italiana, infatti, mancano quelli che in altri ambiti anche della funzione pubblica chiameremmo “quadri intermedi”: si tratta di un problema antico e di fatto mai risolto, anche perché non è mai stato seriamente affrontato. 

In questo modo, tutto viene lasciato al buonsenso, alla buona volontà, alle energie dei singoli, in sostanza, al loro senso del dovere e del servizio, perché la scuola funzioni a dovere. Questo è un grosso problema perché le incombenze di cui si occupa il collaboratore del Ds sono tante, e così trasversali che è molto difficile tenerne un elenco completo: si va dagli incontri di orientamento per gli studenti alla formazione delle classi, dalla stesura dell’orario al ricevimento di genitori di studenti con esigenze particolari (passaggio da o verso altri istituti) all’organizzazione di attività particolari, o dei corsi di recupero, all’assegnazione delle supplenze quotidiane; il che, in scuole con oltre centocinquanta docenti, come spesso accade, diventa un’attività molto impegnativa. 

Come si vede, si tratta di una mole di lavoro che certo non si esaurisce al suono della campanella che decreta la fine delle lezioni, anzi, che si protrae ogni giorno per varie ore successive. Per non parlare delle competenze (professionali, relazionali e chi più ne ha, più ne metta), necessarie per svolgere al meglio l’attività del vicario, competenze che non sfigurerebbero fra le skills di un diplomatico di professione. 

E così, quando pensate che, tutto sommato, gli insegnanti lavorano poco, solo 18 ore a settimana e hanno dodici settimane di vacanze all’anno… beh, meditate, gente, meditate.

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