Genitori contro insegnanti, insegnanti contro genitori. Per la prima volta nella storia, l’un contro l’altro armati. Accade in un’epoca che, cancellato ogni punto di riferimento valoriale oggettivo, ha smarrito il senso dell’educare al punto da ribaltarlo dall’originale latino “trarre, tirar fuori” e anche “condurre” nell’opposto “introdurre, buttar dentro” e anche “farsi condurre”. Così la scuola diventa luogo di lotta, di scontro, di battaglia anche legale tra due agenzie educative – la scuola stessa e la famiglia – che in principio camminavano invece nella stessa direzione perché era chiaro a tutti dove si volesse arrivare.
Gli ultimi due episodi di cronaca riportati dai media – ma si tratta proprio solo degli ultimi d’una serie – lo dicono chiaro. Fornovo Taro, provincia di Parma, alunni di classe quinta della scuola elementare imbrattano i muri del bagno con i propri escrementi. La bidella entra in aula infuriata e la maestra li rimprovera minacciando di condurli in direzione, ma qui le versioni divergono perché, una volta a casa, i bambini raccontano di insulti e strattoni. Scatta la reazione dei genitori, che ovviamente credono in maniera “cieca, pronta, assoluta” (Guareschi docet!) alle parole dei figli e denunciano l’insegnante. A distanza di quattro anni dai fatti, il Tribunale di Parma la condanna ad un mese e venti giorni e, quindi, al pagamento delle spese processuali nonostante lo stesso rappresentante della pubblica accusa ne avesse chiesto l’assoluzione con formula piena. Ma secondo il giudice, la cui sentenza non ha negato il vandalismo, l’imputata aveva abusato dei mezzi di correzione e, dunque, giustizia è fatta.
Non possiamo certo entrare nel merito del processo, di cui conosciamo solo i contorni, ma una cosa è certa: un gruppetto di minorenni sui 10 anni ha messo con la forza del branco spalle al muro una maestra di 60, metà dei quali trascorsi onorevolmente tra i banchi (non risultano a suo carico altri procedimenti giudiziari, tanto da beneficiare della sospensione condizionale e della non menzione).
Immaginiamo in quale stato d’animo abbia continuato il suo lavoro fino alla pensione, ma di questo i genitori non hanno di sicuro tenuto conto. Posto che i vecchi “castighi” di un tempo (ricopiare cento volte “non devo imbrattare i muri della scuola”, studiare dieci poesie a memoria, svolgere tutti gli esercizi di matematica da pagina a pagina… ricordate?) non possono essere più messi in pratica, pena un nuovo ricorso in tribunale per eccesso di metodi correttivi, cosa rimaneva da fare alla maestra? Nell’accusare le famiglie di “vittimismo e strafottenza”, il giornalista Massimo Gramellini chiede: “Dopo una decisione come questa, quale insegnante oserà ancora alzare la voce davanti alle malefatte dei suoi allievi? Trangugerà il rimprovero per quieto vivere e si andrà avanti così, maleducati e contenti”.
Secondo episodio, Roma, prima elementare. Una mamma, appoggiata dall’associazione “La battaglia di Andrea”, denuncia che il figlio di 6 anni, autistico, è stato insultato dalle maestre nel loro gruppo di WhatsApp, pare addirittura esultando alla sua positività per Covid-19. “Mio figlio è a casa perché non posso metterlo in mano a queste persone” ha dichiarato la mamma tra angoscia e senso di impotenza.
Due casi limite (col sindacato che rimane a guardare o poco più)? Purtroppo no. Nel primo, da quando il sistema scolastico ha spalancato le porte alla presenza delle famiglie, presto diventata vera e propria invasione di campo grazie alla possibilità di presentare ricorsi ai Tribunali amministrativi regionali, regolarmente vinti perché è sufficiente che una virgola della montagna di documenti prodotti dalla scuola sia fuori posto. “Espellerei i genitori dalle scuole. A loro non interessa quasi mai della formazione dei loro figli, il loro scopo è la promozione del ragazzo a costo di fare un ricorso al Tar” ha scritto il filosofo Umberto Galimberti. Nel secondo caso, da quando (fine del secolo scorso) “la scuola progressista, abbassando sia la qualità dell’insegnamento sia l’asticella del successo scolastico, ha ampliato le diseguaglianze sociali anziché ridurle” ha sottolineato il sociologo Luca Ricolfi.
In entrambe le situazioni, punte di un iceberg che fa del sistema scolastico italiano un vulcano pronto ad esplodere, è venuta meno la distinzione di ruoli e competenze. Con buona pace del “patto educativo” che primeggia nell’inutile Piano dell’offerta formativa che ogni istituto si appunta con orgoglio sul petto e fa firmare a mamma e papà. E il ministero dell’Istruzione? Non pervenuto, come al solito.
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