Mentre nelle Regioni più colpite dal coronavirus trascorre la seconda settimana di chiusura delle scuole in Italia, il governo Conte lancia la notizia, immediatamente ripresa dalle agenzie internazionali, di un prossimo decreto di chiusura scuole in tutta Italia fino a metà marzo. Passa poco tempo e il ministro Azzolina, dello stesso governo, smentisce di fatto la notizia, affermando che si chiederà parere ai tecnici della sanità e che la decisione avverrà “nelle prossime ore”.



Se si cercava un’immagine fedele di come Giuseppe Conte sta gestendo l’emergenza sanitaria scatenata dal Covid-19, eccola trovata: voci che vanno e vengono, dichiarazioni poi smentite dall’interno, una navigazione a vista improntata alla totale casualità. A farne le spese, ormai s’è capito, è tutta Italia, anche e soprattutto quella legata al sistema economico, ormai sull’orlo del disastro: basti pensare alla débâcle che attende l’attività turistica.



L’assoluta inadeguatezza con cui il governo sta affrontando l’epidemia è lo specchio della sua situazione politica. Ci sarebbe da credere che l’esplosione del virus sia stata provvidenziale per la tenuta di un governo che probabilmente, senza questa emergenza, avrebbe già chiuso i battenti per divisioni interne, incapacità amministrativa, incompetenza generalizzata. Appare sempre più chiaro che a tenerlo insieme era il terrore di una vittoria della destra e l’attaccamento alle poltrone: la gestione confusa e anarchica della crisi ne è la conferma. All’estero ci guardano come appestati, bloccano i nostri turisti, chiudono i voli verso il nostro paese, attendono invano le nostre merci, spesso abbandonandoci come fornitori. Siamo nelle mani dei medici e delle strutture sanitarie che, per fortuna vien da dire, sono a loro volta nelle mani delle Regioni. C’è solo da sperare che il governo permetta loro di lavorare in pace, lasciando spazio alla comunità scientifica, come ha ricordato anche il presidente della Repubblica, molti membri della quale stanno lavorando in modo quasi eroico. E smettendo di lanciare accuse che provengono dallo stesso presidente del Consiglio.



La gestione dell’emergenza nelle scuole è emblematica. Prima si sono chiuse per una settimana, e solo in alcune Regioni. Poi si è polemizzato. Qualcuno dice: perché le scuole sì e le palestre no? Poi due settimane, ma non in tutte; e a metà settimana chiuse in altre Regioni. E infine in tutt’Italia.

Anche la questione di rimediare alla chiusura con lezioni via internet, tanto strombazzata dallo stesso ministro Azzolina, lo si sappia, è un palliativo. Intanto è impossibile che tutti gli studenti posseggano a casa gli strumenti per riceverle; ma ciò vale anche per tante scuole, spesso in possesso di strumentazioni obsolete o mancanti del tutto. Sarebbe comico, se non fosse tragico, verificare la strumentazione di certe scuole della provincia italiana profonda, al Nord come al Sud, soprattutto laddove non si hanno i mezzi neppure per far stare in piedi i muri. Inoltre la didattica online, inutile negarlo, ha limiti oggettivi persino in presenza delle strumentazioni adeguate: si può anche mettere a disposizione sul sito più moderno la lezione più bella del mondo, come è possibile poi verificare l’effettivo apprendimento degli studenti. Che si fa, li si interroga uno ad uno sul video?

Questo apre a un’altra questione fondamentale: quanto e in che modo si può contare, in casi di emergenza come questo, sulla flessibilità della scuola italiana?

Non sembra priva di ragionevolezza un’ipotesi come quella avanzata da qualcuno di chiudere la scuola ovunque per tutto il mese di marzo, un tempo che forse consentirebbe lo sgonfiarsi dell’epidemia, e poi tenerla aperta per tutto giugno. Se nel frattempo si procedesse con esercizi e attività inviate online, si potrebbe salvare quasi tutto l’anno scolastico senza che fosse troppo lacunoso. Ciò ovviamente avrebbe numerose conseguenze, come lo slittamento degli esami di terza media e della maturità, tanto per fare un esempio, oppure l’organizzazione delle attività estive e persino un cambiamento di mentalità del turismo che, soprattutto in bassa stagione, si nutre di clientela che viene dalla chiusura delle scuole.

Insomma, il coronavirus sta mettendo in evidenza la pesante ingessatura del nostro sistema scolastico e persino economico, la totale fossilizzazione e burocratizzazione in schemi temporali e strutturali, la rigidità di un apparato che, nell’emergenza, non sa come fare per rispondere. Magari proprio il virus è un’occasione per sciogliere queste rigidità: per rispondervi in maniera adeguata occorrerebbe per la società, il lavoro e la scuola più duttilità, flessibilità e libertà. Oltre a un governo competente, coraggioso e coeso. Che non abbiamo.

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