Il Miur, con la nota del 6 marzo relativa all’attuale emergenza scolastica ex coronavirus (lezioni sospese fino al 15 marzo, poi si vedrà…), si è impegnato a “garantire il diritto all’istruzione attraverso modalità di apprendimento a distanza”. In effetti, al momento, in attesa di una completa ristrutturazione degli ambienti scolatici (non è illogico pensare ad un prossimo futuro con banchi a distanza di due metri, ingressi e uscite senza affollamento degli spazi comuni, aule sanificate, ecc.), non esistono grandi alternative. La situazione complessiva del Paese è particolarmente seria anche dal punto di vista dell’istruzione, perché è prevedibile che la scadenza del 15 marzo slitti di altre settimane, non sappiamo quante.



Tutta la nazione dovrebbe essere consapevole del fatto che perdere mesi di scuola significa perdere un capitale di conoscenze che non sono facilmente rimpiazzabili. La scuola inoltre, prima ancora di essere il luogo della didattica, è un ambiente di rapporti, di comunità, di scambio di esperienze. Tutto questo rischia di andare perduto se non c’è un sobbalzo di coscienza che permetta al soggetto educante di farsi prossimo all’alunno e alla sua condizione.



Bisogna intendersi. Non si tratta appena di traferire sul remoto (internet) il materiale di apprendimento, ma di immaginare ogni possibile soluzione perché la comunicazione che avviene normalmente nelle mattinate di permanenza tra i banchi si traduca nel linguaggio freddo dell’e-learning, riscaldandolo. Di apprendimento a distanza si parla da anni, esistono già pratiche significative ed un’ampia letteratura in merito. La formazione a distanza è una metodologia ampiamente diffusa nella pubblica amministrazione e nell’università telematica da una ventina d’anni. Ne sono stati sperimentati i vantaggi e i limiti. I vantaggi: la flessibilità, l’attivazione dell’attenzione del fruitore, la semplificazione dei contenuti proposti. I limiti sono in genere connessi alle dotazioni e alle potenzialità delle reti tecnologiche che non sono le stesse per tutti.



Sul piano dell’istruzione, primaria e secondaria, un altro limite che l’emergenza sta evidenziando è il diverso livello di preparazione dei docenti all’uso della didattica informatizzata. Non tutti hanno seguito appositi corsi di formazione. In molti è presente, talvolta legittimamente, una certa resistenza alla cultura dell’e-learning che è stata spesso proposta ideologicamente come il mondo nuovo rispetto al vecchio mondo della lezione frontale. Ora queste difficoltà dovrebbero essere superate perché, come detto, per mesi le scuole non saranno agibili agli alunni.

L’insegnamento a distanza può consentire un buon apprendimento a distanza, dunque la continuità della relazione insegnante-alunno che si è magari faticosamente instaurata nella prima parte dell’anno scolastico. Una certa strumentazione permette, infatti, di fare lezione (seppure a distanza), di proporre materiali illustrandoli in diretta, di chiedere un certo tipo di riscontro cui può corrispondere una certa valutazione. È una pratica, un modo di impostare il nesso con la realtà, costituito da tante utilità che possono consentire, se opportunamente orientate, di cogliere le diverse esigenze degli alunni nei loro rispettivi livelli di comprensione.

Alcune scuole e diversi docenti si stanno muovendo bene in questi giorni in cui l’anima profonda della scuola è sfidata dalle circostanze. Le mosse di alcuni, le esperienze di chi non ha inteso mollare il legame con i propri allievi dovrebbero velocemente diventare patrimonio di tutti. Si tratterà di calibrare i ritmi e i tempi, tenendo conto delle condizioni in cui si trovano le famiglie italiane in questo periodo: non tutte, forse, in possesso del computer (caso raro); oppure non tutte con la connessione veloce (caso più frequente). E se i figli/fratelli sono più di uno, non tutte in grado di gestire ordinatamente l’accesso allo strumento.

Agli insegnanti compete la responsabilità maggiore. Quella di trasformare il disagio e il disappunto per l’inattività cui sono obbligati nell’apertura e nella disponibilità a rivedere e ripensare insieme ai colleghi l’apporto cui sono tenuti nei confronti dei più giovani. La vocazione del docente è sottoposta ad una interessante prova dalle circostanze, perché venendo meno l’aspetto routinario del mestiere, resta la decisione libera di giocarsi per il gusto di una professione che si rimodula di fronte a un bisogno.

Il Miur, nella nota di cui sopra, si è premurato di rinviare ad una serie di indicazioni e di materiali, sotto il titolo “Nuovo Coronavirus”, che possono essere presi in considerazione perché ordinati secondo una certa gradualità: le piattaforme, i materiali, le iniziative. È insomma offerta un’ampia gamma di misure di accompagnamento che vanno dal registro elettronico, alla condivisione di video, alla più strutturata lezione on-line.

Il Miur dovrebbe implementare il sito con esperienze che nascono dal basso, in questi giorni. E investire risorse, se necessario, per accompagnare i docenti ancora inesperti ad avviarsi in questo campo. La delega agli uffici periferici e alle scuole autonome non diventi uno scaricabarile. La ferita che il contagio ha aperto sul tessuto della scuola non può diventare uno strappo permanente sulla pelle di chi sta frequentando, pieno di aspettative, la scuola primaria, o di altri che attendono di conoscere gli sviluppi del delicato percorso della scuola media o superiore, soprattutto se alle ultime battute. Ciascuno faccia la propria parte. Non da solo, ma aiutando qualcun altro a camminare nella stessa direzione.

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