Scelta politica dietro la chiusura di scuole e università. Il comitato tecnico-scientifico che assiste il governo in questi giorni di emergenza coronavirus infatti non era del tutto d’accordo, si è spaccato quasi in due, Lo dice il quotidiano La Stampa grazie alla solita “fonte autorevole” rimasta anonima. Chiudere scuole e università per 15 giorni, avrebbe detto la fonte, “non serve a niente”, la responsabilità è stata del premier Giuseppe Conte. O si chiudono per mesi, in pratica si sospende l’anno, oppure meglio restare aperti. Walter Ricciardi, consulente primo per il governo dell’emergenza sanitaria, dice anche lui che la chiusura temporanea non serve assolutamente a nulla. Noi, normali cittadini con figli a scuola e all’università, ci chiediamo perché tanto accanimento, visto che non risulta tutt’oggi un solo studente ammalato, mentre si tengono aperti supermercati e metropolitane, fonti di infezione molto più pericolose dato che ci si trovano persone di ogni età, anche e soprattutto anziani, i più colpiti dal virus. Ma tant’è.



La chiusura dei luoghi di istruzione è una misura drammatica, tanto e quanto forse di più delle aziende con conseguente crisi economica. Conte infatti ha detto esplicitamente che per adesso si chiude per 15 giorni, ma la chiusura potrebbe essere prolungata. In parole povere, rischia di saltare l’anno scolastico e quello accademico. I danni per una generazione di studenti sarebbero incalcolabili per quella che, dopo il lavoro, è la cosa più importante per una società moderna e civile, l’educazione. E appaiono immediatamente fantasmi del passato, come quello della promozione automatica per tutti, per rimediare all’anno.



Uno studente di quarta liceo superiore, viste le enormi difficoltà tecnologiche e burocratiche della scuola italiana che per la prima settimana di chiusura ha fatto ignorare completamente ai professori i loro studenti a casa (bastava una e-mail con qualche compitino da fare), con che preparazione potrà arrivare l’anno prossimo all’esame di maturità? Pochissima, siamo seri. Per non dire in che condizioni saranno quelli che la maturità la stanno preparando quest’anno. E chi sta preparando la tesi?

E allora, torniamo al tristemente famoso 6 politico, la promozione per tutti che volevano gli studenti del ’68 e degli anni 70 e che molti professori, spesso intimiditi, concedevano? Qualcuno forse ricorderà che esisteva anche il 30 politico, all’università. Non solo: si faceva anche l’esame di gruppo. Gruppi di studenti preparavano un seminario pluricorso annuale su un argomento: “Gli studenti che seguivano il seminario si qualificavano per avere registrati sul libretto i quattro o cinque esami dei professori consorziati. Ovviamente con un trenta politico”. Si chiamava fabbrica di esami, come ricorda in un libro Lorenzo Matteoli, allora ordinario di tecnologia alla facoltà di architettura del Politecnico di Torino: “Siccome poi era impossibile che tutti discutessero e prendessero la parola la discussione veniva delegata a due o tre fra i più brillanti studenti del gruppo mentre gli altri stavano a sentire rigorosamente muti. Con cinque o sei seminari ti laureavi comodamente senza problemi, molti “compravano” la partecipazione al seminario finanziando il leaderino di turno, non venivano nemmeno in facoltà se non per la liturgia finale e raccogliere i voti sul libretto”.



Dietro a tutto questo e al 6 politico c’era un contenuto fortemente ideologico figlio di quegli anni: scuole e università aperti a tutti, promozione e ingresso al mondo del lavoro garantiti in questo modo. Era l’abbassamento del livello culturale in nome dell’uguaglianza, dell’eliminazione delle classi sociali di cui la scuola e l’università erano sempre state riflesso. In realtà tutto finì in caciara come sempre in Italia. Le ragioni politiche decaddero subito, che mai nel periodo della contestazione studentesca sono interessate alla maggioranza. L’importante era farcela senza studiare. Si assisteva a minacce e ricatti a professori spaventati, bullismo ante litteram.

Ricordo bene, avendo fatto la scuola superiore negli anni 70, il clima di allora. Nella mia classe c’erano un paio di studenti “politicamente impegnati” che invocavano il diritto di essere promossi comunque. Ricordo le minacce a professori anziani, sconvolti da quello che udivano, quasi in lacrime a vedere la volontà di distruggere tutto quello su cui avevano impostato la loro carriera. Il tutto decadde ben presto. In compenso, se oggi la scuola italiana ha tante pecche, è perché dal 68 è arrivata una classe, non tutta, ma parecchi, di insegnanti molto ignorante proprio per questi motivi. La posizione vera della sinistra italiana era piuttosto quella di don Milani, che ricordava ai figli degli operai e dei contadini che dovevano studiare il doppio rispetto ai figli di papà.

Quindi quest’anno a cosa assisteremo? Nessuno si prenderà mai la responsabilità di fare saltare un anno, ma nessuno vuole parlare di 6 politico, come ha detto il ministro Azzolina. Il grande buco della scuola italiana è piuttosto quello di non aver mai previsto situazioni del genere, di non essersi mai preparata tecnologicamente al cosiddetto studio a distanza.

L’occasione grande allora data da questa emergenza è che i ragazzi di oggi si muovano responsabilmente da soli. È una grande opportunità per costruire un Io forte e capace di affrontare le sfide del futuro, quando saranno cresciuti. Non aspettate la pappa pronta dalle istituzioni e dai vostri professori, cominciate a muovervi da soli. Studiate, leggete, chiedete aiuto a fratelli maggiori, ai genitori. Usate la Rete non per i social ma per fare ricerche. Troppo spesso infatti andare a scuola significa avere il bocconcino pronto che ti danno gli insegnanti, senza fare il minimo sforzo per approfondire. Esattamente la stessa mentalità del 6 politico.

Tra ossessione per la severità, che negli ultimi anni ha ripreso spazio nella scuola italiana, e il presupposto ideologico cioè ricostruire “la serietà didattica” distrutta dal 68, ci si affanna in soluzioni tampone come quella presa da Conte. Come ebbe a dire André Glucksmann, chi conosce un po’ la storia sa che non fu il ’68 a mettere in crisi la scuola, “fu semmai la scuola in crisi ad aver causato il Maggio del ’68. Da un pezzo la scuola non era più all’altezza dei suoi compiti. Si soffocava. Bisognava respirare…”. Oggi il rischio è che sia un virus a far soffocare di nuovo la scuola, qualcuno la faccia respirare. È una opportunità.

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