Se vi è capitato nella vita di dire a qualcuno di non capire il suo accento, allora dovete sapere che avete corso il rischio di essere accusati di discriminazione razziale. Lo è per il giudice di un tribunale britannico, che ha stabilito che dire a qualcuno con un accento straniero che non lo si capisce può essere una molestia razziale. La critica o il commento del modo di parlare di una persona di un alto paese o gruppo etnico può rappresentare una violazione della legge sul lavoro secondo James Tayler, che è il giudice senior dell’Employment Appeal Tribunal (EAT).
La vicenda, ricostruita dal Telegraph, riguarda il caso di una lavoratrice universitaria che è stata criticata per il suo “forte” accento brasiliano. Elaine Carozzi, responsabile marketing, ha portato l’Università di Hertfordshire davanti a un tribunale del lavoro, sostenendo di aver subito discriminazioni razziali e molestie. Pur avendo una buona padronanza della lingua inglese, i dirigenti dell’università avrebbero fatto fatica a comprendere ciò che diceva.
ACCENTO E DISCRIMINAZIONE RAZZIALE, IL CASO IN UK
Le richieste della dipendente universitaria erano state respinte inizialmente dal tribunale di Watford tre anni fa, ma la donna ha vinto la battaglia legale per ottenere che il suo caso venga riesaminato, visto che in appello sono stati riscontati errori nella prima decisione. Nello specifico, il giudice d’appello ha ritenuto che sia stato commesso un “errore di diritto” ritenendo che l’Università dell’Hertfordshire non avesse molestato la lavoratrice.
I commenti sul fatto di non capire una persona con un accento straniero potrebbero comunque costituire una molestia, perché esso può essere “una parte importante dell’identità nazionale o etnica di una persona“, ha dichiarato il giudice. Le critiche all’accento potrebbero rappresentare una violazione della dignità e costituire una discriminazione di tipo razziale, ma chiaramente ciò non vale sempre, dipende dai singoli casi.
“ESCLUSA DALLE RIUNIONI, COMMENTI SPREZZANTI”
Elaine Carozzi aveva spiegato nel primo grado che una sua manager l’aveva discriminata estendendo la sua prova: dopo il suo ingresso nell’università nel 2017, non veniva assunta, ma il periodo di prova veniva prorogato a causa di alcuni timori riguardanti la sua comunicazione, nello specifico la sua pronuncia. La dipendente ha dichiarato di essere stata oggetto di commenti sprezzanti sul suo accento brasiliano e la sua cultura per 13 mesi.
“La signora Lucas mi ha detto che avevano problemi con il mio ‘accento molto forte’ e che quindi non voleva invitarmi a riunioni ed eventi importanti. Ho un accento brasiliano. Non posso cambiare il mio background, la mia etnia e le mie origini nazionali“, denunciò la donna. Ma la manager si è difesa spiegando che il problema erano i contenuti delle sue affermazioni.
Le richieste di Carozzi furono respinte nel 2021, perché il suo accento “non ha nulla a che fare con la sua razza“. Ma in appello è stato spiegato che sebbene la razza non “motivasse” i commenti, era comunque collegata ad essa e quindi potenzialmente molesta, inoltre sono stati riscontrati altri errori, motivo per il quale il giudice ha concluso che i reclami debbano essere esaminati da un nuovo tribunale.