L’interrogativo non è del tutto inedito, ma fin qui ha riscontrato poche risposte, spesso e volentieri permeate da scetticismo: la seconda dose del vaccino anti-Covid può essere somministrata al paziente servendosi di un siero diverso da quello inoculatogli in occasione della prima iniezione? Un quesito lecito, a maggior ragione se si considera che, in questo preciso istante, in tutto il pianeta sono in fase di sviluppo clinico altri 69 vaccini e quasi due terzi di essi sono stati progettati per garantire all’uomo l’immunità attraverso almeno una doppia dose.
Di fronte a numeri di questa natura, individuare una certezza relativamente al quesito sopra esposto rappresenta molto più di una semplice curiosità: è un’esigenza vera e propria, viste anche le complessità logistiche emerse in altri Paesi del mondo nel garantire la somministrazione della stessa tipologia di vaccino alle persone in attesa di ricevere il secondo dosaggio. La Gran Bretagna, ad esempio, ha riconosciuto a tutti gli effetti che, in circostanze straordinarie, è possibile somministrare una seconda dose di vaccino non corrispondente alla prima, qualora essa non sia disponibile.
SECONDA DOSE CON VACCINO DIVERSO DALLA PRIMA? STUDIO IN CORSO
Somministrare la seconda dose con un vaccino diverso da quello utilizzato in occasione della prima, tuttavia, è una soluzione che pare non convincere totalmente il dottor Anthony Fauci, direttore dell’Istituto nazionale americano di Allergia e Malattie Infettive: “Non farei alcun cambiamento in tal senso, a meno che non si abbiano buoni dati. Non penso che si possano mischiare e abbinare due vaccini diversi senza che i risultati mostrino che questa pratica sia effettivamente molto efficace e sicura”. Esattamente ciò che, adesso, stanno cercando di fare i ricercatori britannici: un team di esperti dell’università di Oxford ha iniziato a reclutare circa 800 persone di età pari o superiore ai 50 anni per avviare uno studio utile a comprendere fino in fondo se il cambio di vaccino potrebbe funzionare. Più dettagliatamente, utilizzando un particolare studio clinico, i ricercatori faranno ricorso a varie combinazioni e intervalli fra le due dosi dei vaccini attualmente distribuiti in Gran Bretagna, ovvero quello creato da Pfizer e BioNTech e quello sviluppato da Oxford e AstraZeneca.