Sono molti gli argomenti che entreranno nelle urne elettorali, nella scelta di chi votare. Ma saranno forse gli stessi argomenti, scanditi con grande dispersione e confusione, che terranno probabilmente molti cittadini italiani lontani dai seggi elettorali. Questa volta sembra difficile raccapezzarsi sui programmi, che sembrano un elenco dove si confondono anche le scelte più elementari. Curioso, ad esempio, che secondo una stima valutata intorno al 65% i cittadini italiani non sappiano rispondere sulle differenze sostanziali dei programmi dei cosiddetti partiti in campo.
E anche i più attenti e sensibili alle vicende politiche non vedono riferimenti certi. Neppure si possono rifare a congressi o a convegni che hanno stabilito a suo tempo la linea di un partito o le correzioni di linea. Oppure le divisioni. Congressi, convegni, comitati centrali o federali non sono più di moda e non si fanno più.
La cosiddetta “prima repubblica” aveva partiti divisi al proprio interno: amendoliani e ingraiani nel Pci; lombardiani, sinistra e autonomisti nel Psi; una gamma di posizioni differenziate nella Dc. E anche partiti minori, come repubblicani e liberali, registravano al loro interno posizioni differenziate.
Certamente, come fatto positivo, sono scomparse le ideologie, intese come sistemi chiusi utopistici e irraggiungibili che si sono rivelate fallimentari, ma sembrano scomparsi anche gli ideali e le scelte conseguenti che dovrebbero adattarsi alla realtà che si vive e alle ipotesi per il futuro prossimo venturo.
In realtà, nella cosiddetta seconda repubblica, che sta nella mente soprattutto di stampa e magistrati che hanno eseguito in modo grottesco, alla faccia della loro rivendicata indipendenza, il volere di lobbies straniere e italiane, è scomparso tutto: politica e partiti innanzitutto, facendo traballare una democrazia che ha faticato non poco a depurarsi dai lasciti fascisti e dalla voglia di dipendere dal Patto di Varsavia, per idee, scelte e sopratutto soldi, cioè i rubli che si trasformavano in dollari e poi sparivano anche nella ricostruzione storica.
Tutto quello che ha caratterizzato il Novecento italiano è sparito misteriosamente e così si è arrivati al punto di varare una democrazia senza partiti, che è una contraddizione in termini.
L’operazione poi di rimuovere un passato di difficile ricostruzione, dove l’Italia aveva un peso economico e politico internazionale crescente sembra fallita e, davanti alle schede di oggi, il dibattito e la scelta personale passa dalla lettura delle bollette di gas e luce. In questi anni di grandi dibattiti inutili, di grandi programmi di costruzione globale è addirittura avvilente che la maggiore preoccupazione italiana, che è pure comparsa e rivelata in ritardo, sia quella energetica.
Più che alle elezioni, c’è addirittura chi pensa alle assemblee condominiali, dove si dovranno decidere la temperatura dei caloriferi, l’uso del gas e della luce, il fatto di scegliere quante docce fare alla settimana e come usare il ferro da stiro.
La risposta che la questione energetica sia strettamente collegata all’invasione della Russia in Ucraina, alla guerra in corso e ai pericoli di guerra, è solo una giustificazione parziale. In realtà, l’invasione della Russia in Crimea, cioè in Ucraina, risale al 2014 e prima del 24 febbraio 2022, cioè dell’operazione militare “declamata” da Vladimir Putin per risolvere problemi che appartengono soprattutto alla decadenza economica e geopolitica della Federazione Russa, già il prezzo dell’energia stava salendo. Si può dire che l’invasione del 24 febbraio ha fatto solamente esplodere il problema.
E qui la domanda è d’obbligo: per quale ragione? Ma perché nessuno ci ha pensato? Se si guarda al sistema energetico italiano ed europeo, si può notare facilmente, basta fare due conti, che c’è una dipendenza enorme da circa 25 anni dalla Russia, Si stima che circa l’80% dell’energia importata, alla faccia della svolta green, dipenda da fonti fossili come gas, petrolio e carbone. Inoltre, si è assistito a una crescita esponenziale del costo del gas e di energia elettrica dovuta alla volatilità dei prezzi e al classico gioco rialzista e ribassista della nuova finanza dei dementi pescecani devoti al mercato borsistico.
Con una superficialità che in politica può solo definirsi potenziale, senza alcun grande trattato o congresso internazionale che stabilisse i nuovi rapporti tra Russia ed Europa dopo la caduta dell’Unione Sovietica, ci si è fidati dell’ex capo del Kgb e delle para-comiche intuizioni della signora Angela Merkel stabilendo di consegnare appunto all’ex Unione Sovietica il ruolo di riserva energetica dell’Occidente europeo.
Con queste scelte, se si riduce all’osso il problema elettorale di domani, si può supporre che chi va al seggio elettorale prima guarderà la bolletta del gas e poi metterà la scheda nell’urna, oppure starà a casa a riguardarsi le quattro o cinque pagine che accompagnano la bolletta della luce.
Difficile azzardare a questo punto un risultato, perché tutti gli argomenti che escono dalle trasmissioni televisive e dalle analisi dei giornali parlano prevalentemente d’altro e arrivano con fatica alla “questione energetica”, che solo da poche settimane è diventata esclusiva. È questa la riprova del fossato che si è ormai creato, in modo quasi spaventoso, tra società politica e società civile.
Sembra incredibile che la cosiddetta classe politica non si renda conto che senza energia di qualsiasi tipo, per il momento eccezionale che viviamo, non si indebitano solo le famiglie, ma sono costrette a chiudere migliaia di fabbriche. Lo capiscono i nostri politici che un Paese in questo modo si ferma con una valanga di disoccupati e con conseguenze sociali impensabili?
Il problema grave è che sembrano non comprenderlo neppure a Bruxelles, all’Unione Europea, dove si discute e si rinviano decisioni e intanto emergono divisioni che non si sa come si potranno sanare.
Anche in questo caso, la superficialità italiana sembra che si sia trasmessa in Europa, quella che tutti auspicano una grande realtà unita, con una Costituzione, una politica comune, anche sul piano energetico oltre che che per la politica estera e la difesa per citare qualche esempio.
Si assiste invece, sgomenti, a Paesi che cercano di ripararsi con interventi difficoltosi e non si comprende perché non si riesca a mettere un “tetto” ai prezzi dell’energia in tutta Europa.
Non si comprende anche perché la nuova leader inglese Liz Truss abbia fatto un intervento straordinario e risolto il problema del cosiddetto “tetto” al prezzo dell’energia con una semplice spiegazione: “Perché altrimenti il sistema si ferma”. Invece in Europa si continua a rinviare, quando ci sono imprenditori che ripetono ossessivamente che “esiste un problema di ore”, cioè fino all’arrivo delle bollette di settembre.
È quasi avvilente assistere a una campagna elettorale così dispersiva e sgangherata, a cittadini sempre più sfiduciati.
Quando l’Europa nacque varava innanzitutto la Ceca, la Comunità del carbone e dell’acciaio, che doveva essere la base di una unità politica più ampia, partendo da una comune energia.
In questi anni, dopo dibattiti lunari, una sfilza di Governi, la scomparsa della politica e dei partiti, si è di fronte a una questione energetica che sembra irrisolvibile.
Al momento vota solo l’Italia, ma presto voteranno anche altri Paesi e bisognerà pensare a qualche conseguenza possibile. Intanto, ritornando all’Italia, passare nel giro di trent’anni dalla caduta delle ideologie alla condanna della “casta”, dalle crisi economiche neo-liberiste alla “pioggia delle bollette” è realmente mortificante.
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