L’ospedale Luigi Sacco è una delle maggiori strutture sanitarie di Milano, noto anche per la presenza come responsabile delle malattie infettive del professor Massimo Galli, volto ormai noto della televisione da quando è cominciata la pandemia di Covid-19. Un ospedale che come tutti gli altri sta soffrendo di nuovo durante questa seconda ondata, costretto a riconvertirsi daccapo quasi esclusivamente in struttura per malati Covid: “Riattivati oltre 300 letti, abbiamo già riconvertito di tutto e di più” ha detto nei giorni scorsi Galli. “È un’ondata – racconta in questa intervista Roberto Rech, direttore responsabile emergenza intraospedaliera e terapia del dolore dell’ospedale Sacco – che non ci aspettavamo così veloce e così numerosa. Ritrovarsi nella medesima situazione della scorsa primavera, quando durante l’estate avevamo sperato fosse finita, devo dire che ci ha tagliato un po’ le gambe, l’impatto psicologico è davvero forte”.
Rispetto all’ondata della scorsa primavera, siete più preparati ad affrontare questa nuova emergenza?
Da un certo punto di vista sì, nel senso che si riesce ad avere un maggior controllo su quanto siamo chiamati a fare, anche se questa nuova ondata ci ha preso come la precedente un po’ impreparati. Si ripercorrono i tragitti precedenti, con tutti i limiti del caso, come la stanchezza e le difficoltà. Ce la stiamo mettendo tutta.
I sindacati nei giorni scorsi a proposito del suo ospedale hanno denunciato che “la tensione tra i lavoratori è al limite” e che a questo “si aggiunge l’allarmante aumento di contagi tra i lavoratori che genera timore e, a causa delle diffuse defezioni, l’ulteriore aumento del carico di lavoro”. È così?
Il problema è che ci sono più operatori contagiati rispetto alla prima ondata, contagi che comunque sono avvenuti fuori dalle mura dell’ospedale. La riapertura del dopo lockdown, i vari canali di contatto, i trasporti, si sono moltiplicati nei mesi estivi. Questo ha provocato dei cluster anche all’interno dell’ospedale.
Il personale sanitario oggi è quindi inferiore?
Sì, e quando vengono a mancare figure professionali diventa tutto più difficile, ma soprattutto ne viene colpito l’aspetto psicologico. Oggettivamente da fine settembre il virus ha cominciato a galoppare velocemente e in un ospedale come il nostro, che è al centro del sistema sanitario lombardo, ha provocato una mole di lavoro notevole, soprattutto al pronto soccorso e poi con la riconversione dei reparti, che erano stati da poco riaperti, contando su un personale ridotto.
Si sentono anche critiche pesanti rivolte al personale sanitario, che una volta veniva applaudito e adesso colpevolizzato da un sentimento di rancore. Avvertite questa atmosfera?
Più che altro la zona di frontiera è il pronto soccorso, dove c’è sicuramente scontro. C’è una fase negazionista di cui mi occupo poco, io penso al paziente e a come rianimarlo, mi pongo poco il problema di chi critica. Si cerca di essere più presenti e indirizzare subito il supporto che possa mettere a riposo i polmoni e il sistema respiratorio, tenendo conto che le risorse sono limitate, ad esempio i posti letto. Gli ospedali devono comunque mantenere attive anche le cure per le altre patologie, non si può tornare come a febbraio-marzo quando ci si occupava solo del Covid. Non tutti gli ospedali hanno potuto riconvertirsi in tempo e non hanno potuto dare posti letto, i pronto soccorso si sono intasati, la gente è stanca e subisce vari input che tutto sommato lasciano il tempo che trovano.
Suoi colleghi ci hanno detto che rispetto alla prima ondata in cui ad ammalarsi erano soprattutto anziani, adesso l’età media è sui 40-50 anni, è così anche da quello che vede lei?
In realtà il mio target è sempre lo stesso, anche nella scorsa ondata ho avuto pazienti di 24, 30 anni e over 70. La situazione è più o meno la stessa, la percentuale maggiore in rianimazione è rimasta la stessa, tra i 50 e i 60, con punte di over 70, ma anche più giovani di circa 40 anni.
Il paziente e la sua sofferenza sono aspetti del vostro lavoro che cerchiamo di dimenticare. Per lei cosa significano?
Dopo tutto quello che abbiamo già vissuto, adesso c’è di nuovo un vissuto che gioca a favore delle difficoltà. L’impatto psicologico è davvero pesante e ritrovarsi daccapo taglia un po’ le gambe.
(Paolo Vites)