Partiamo da un dato: non sono i modelli matematici a essere errati (lo ha ricordato anche l’Unione matematica italiana con un comunicato), ma è la loro applicazione ad aver portato uno sfasamento nella lettura dell’epidemia da coronavirus.
Questa pandemia ha avuto origine dalla Cina e fin dal principio i dati sono stati incerti, come avevamo svelato già a febbraio. Purtroppo postulati e azioni sono derivati dall’interpretazione dei dati “made in China”, che hanno portato forse fuori strada nell’approccio al contagio generale. L’ Italia ha preso per buona la risposta cinese all’epidemia, tanto da tarare i propri modelli su quelli cinesi, e aspettando quel picco che per giorni è stato annunciato, ma che non arrivava.
Per paradosso, erano molto più attendibili i dati della pandemia di Spagnola nel 1918, che abbiamo sovrapposto (numero di contagi medio mondiale) all’anno 1919 e ovviamente al Covid-19. Fa pensare che pur dinanzi a epidemie diverse, le curve d’espansione siano in proporzione sovrapponibili e simili, a patto che “si parta prima”. In pratica, dando per buona la teoria (ripresa anche da Harvard) che il virus fosse già molto attivo ben prima di gennaio. Si teorizza ottobre, ovvero lo stesso mese in cui nel 1917 iniziarono i primi focolai d’influenza Spagnola, poi esplosi in piena Grande guerra.
La notizia incoraggiante è che proporzionando i dati del 1918 e 1919 alla media dei primi sei mesi del 2020 (che però rappresentano già una fase avanzata dell’infezione), si andrà a creare una curva assai limitata più o meno in autunno. Questo significa che – parlando sempre a livello mondiale, quindi alcuni paesi potrebbero essere esclusi – l’eventuale ritorno dell’epidemia potrà essere contenuto senza i pesanti sforzi d’inizio anno.
La chiave è tecnologica
Già nel 1918, dopo ogni curva d’espansione si registrò un brusco calo del contagio (e ovviamente dei decessi, che per la Spagnola furono milioni), grazie a forme di “contenimento igienico”, blocchi parziali e localizzati, quarantene (soprattutto le isole). Oltre a ciò i medici riuscirono a inquadrare l’infezione ai polmoni (molto letale) curandola per tempo e con le terapie giuste. Il virus si ripresentò, ma senza la ferocia del 1918 e 1919.
Le differenze, in positivo, con il Covid-19 sono molte: a livello tecnologico non c’è confronto, in soli tre mesi i sanitari di tutto il mondo hanno compreso come intervenire onde evitare un decorso grave. A questo vanno aggiunte le misure di blocco e contenimento che hanno contrastato l’unico punto debole della nostra civiltà tecnologica rispetto al 1918: l’ipervelocità di spostamento. Se per la Spagnola ci vollero quasi due anni per raggiungere gli estremi del globo, nel 2020, tra voli aerei, viaggi e rotte commerciali, in soli tre mesi il virus ha fatto il giro del mondo. Inoltre, rispetto al 1918, grazie a tamponi e test, i “cluster” sono stati (anche in Italia, vedasi Vo’ Euganeo) prontamente neutralizzati.
Intanto la situazione a livello mondiale è tutt’altro che risolta, dagli Usa al Brasile, passando per la crisi del Perù (mancano bombole d’ossigeno) all’esplosione in Pakistan e India. Dall’Africa arrivano pochi dati e nessun vero quadro generale. Anche la Russia, pur avendo deciso d’allentare le misure, non pare ancora aver sotto controllo l’espansione del virus. Solo Cina ed Europa sembrano aver “scollinato”.
Le misure da intraprendere
Le azioni da mettere in campo per evitare brutte sorprese in autunno (che a livello economico sarebbero difficilmente superabili) sono di monitoraggio e intervento tempestivo. Test e tamponi strategici, controlli alle frontiere, che non vanno aperte troppo frettolosamente a quei paesi che ancora non hanno superato la fase acuta. Scarsa attenzione può portare a possibili cluster, come in Polonia, paese in cui ben 4mila minatori nella regione della Slesia sono stati trovati positivi, nonostante il governo avesse rassicurato il 17 maggio sulla riapertura della zona mineraria in totale sicurezza.
I dati tuttavia ci indicano una fase autunnale più leggera e gestibile, appunto perché ora siamo “tecnicamente preparati”, anche con modelli matematici di simulazione più vicini alla realtà.
Dati e numeri (anche confrontati con quelli della pandemia di Spagnola, vero termine di paragone sotto il naso di tutti) ci confortano; la tecnologia fa il resto, ma la concentrazione (come la tempestività d’intervento) deve rimanere ancora alta per qualche mese, il tutto per non vanificare lo sforzo encomiabile compiuto fino ad oggi e che ci ha dato la possibilità di gestire, attraverso una normalità ragionata, un qualcosa che a marzo sembrava ingovernabile.
Siamo tornati a essere i padroni del nostro destino, grazie a volontà e tecnologia.