Mentre il New York Times descrive il “modello Italia” come approccio da imitare in tema Covid-19 (l’articolo si concentra sulle fasi 2 e 3), soprattutto dopo la fase acuta in Germania l’Istituto Koch snocciola numeri non rassicuranti.
Il governatore della Sassonia Michael Kretschmer è stato lapidario: “La seconda ondata di coronavirus è già qui. Si vede ogni giorno. Abbiamo nuovi focolai ogni giorno e i numeri possono davvero diventare molto alti”. Affermazioni particolari, soprattutto perché Kretschmer milita nello stesso partito della Merkel. Questo dettaglio non deve passare in secondo piano. Sulla gestione della crisi la Merkel si è giocata la propria credibilità e ha fatto di tutto a livello mediatico per far superare alla Germania l’emergenza sanitaria, partita in salita tra influenze in Baviera e paziente 0 europeo su suolo tedesco.
Con i numeri in assestamento e i decessi in rapporto ai contagi molto in linea con il modello cinese, la situazione Covid in Germania ha fatto registrare benefici in un primo momento, ma una serie di crepe nelle fasi successive. I media tedeschi hanno continuato a segnalare cluster e il Koch indici Rt al limite. Mentre il nucleo di produzione tedesco contava ogni giorno focolai e quarantene localizzate. Molto astutamente il governatore della Sassonia ha ribadito l’efficacia del sistema tedesco perché federale e ricordato come Est e Ovest del Paese abbiamo reagito in sinergia. In realtà le polemiche ci sono state e non poche.
Ha destato preoccupazione la Baviera con 170 braccianti positivi al Covid-19. Sono stati messi in quarantena 500 operai agricoli e sono stati fatti tamponi a tappeto proprio mentre Deutsche Welle riprendeva dichiarazioni di autorità sanitarie locali che invitavano alla calma dicendo che il cluster si riferiva “ad un gruppo di persone ristrettissimo”. Questa frase è attualmente un mantra. Anche per i casi nei macelli si parlò di “focolai ristretti”. In realtà, i conti tornano poco e si teme che l’indice Rt ora tornato a 1,24 (sabato era 1,08) sia una spia accesa sui reali contagi tedeschi (208.811 e 768 casi nelle ultime 24 ore) che da inizio epidemia oscillano troppo sul dato giornaliero, passando da 815, poi 781, per poi attestarsi su una media di 300. La media tra 300 e 400 si porta dietro una certezza: in rapporto alla popolazione l’indice Rt è contenuto tra 1 e 1,5.
In questo momento i numeri italiani sono nettamente migliori, nonostante il punto di partenza fosse (sempre dando per buoni i dati del Koch) assai diverso. I dati tedeschi non tornano nemmeno negli Usa, dove il parallelismo Berlino-Pechino viene ripreso di continuo dalla stampa americana. Il rapporto contagiati/decessi non convince e si torna a discutere di ricalcolo mondiale. In Europa Francia, Italia, Spagna e Gran Bretagna i numeri hanno avuto un percorso simile, quindi appare a molti strano che il virus in Germania si sia comportato così diversamente. L’Austria poi appare una fotocopia della Germania, con proporzioni contagio e contenimento praticamente uguali. Un filo che unisce Berlino, Vienna e Pechino.
Anche in Germania iniziano analisi più dettagliate sulla stampa, fino a oggi in scia governativa e a volte quasi celebrativa. Zeit online infatti non perdona e riporta una statistica riferita ai contagi (cresciuti a livello settimanale: negli ultimi 7 giorni sono stati 3.141). Nei giorni scorsi il numero settimanale si attestava intorno ai 2.400 di media, un dato da non sottovalutare e che molti governatori dei Länder iniziano a snocciolare chiedendo misure di contenimento più rigide, perché se da un lato l’autonomia completa permette di agire in fretta, dall’altra implica poi grosse responsabilità.