In Spagna oltre 10mila casi positivi e 241 morti nelle ultime 24 ore, tanto che la comunità autonoma di Madrid chiederà oggi al governo “supporto logistico militare urgente” per installare tende ed eseguire test sulla popolazione e alla polizia nazionale e alle guardie civili per verificare l’effettivo rispetto delle misure di quarantena. In Francia oltre la metà del paese è diventata zona rossa. In Belgio, in Olanda e nei Balcani il tasso di crescita dei contagi è a due cifre. In Gran Bretagna il premier Boris Johnson, di fronte a una diffusione che è tornata a essere esponenziale, è pronto a far intervenire l’esercito “se necessario”. Intorno all’Italia, la pandemia in Europa ha ripreso a correre, con un numero di positivi più alto di quando l’emergenza era nella fase più critica e acuta. Come può esplodere in questo modo così violento? C’è un rischio importazione del virus in Italia? Può essere questo lo scenario cui andremo incontro quest’inverno? “Occorre subito dire – risponde Giorgio Palù, virologo dell’Università di Padova e già presidente della Società europea di virologia – che anche in Francia e nel Regno Unito per ora non si registrano casi gravi in terapia intensiva, segno che la morbosità del virus potrebbe non essere ancora così grave. Sicuramente, però, non possiamo trascurare l’incidenza cumulativa, che sta aumentando: più virus circola, più c’è la possibilità che si diffonda e che i soggetti più deboli si ammalino in forma grave fino ad arrivare al decesso”.
E l’incidenza cumulativa è la stessa della scorsa primavera?
Da noi sicuramente no, al momento, ma è vero in Spagna, Francia e Regno Unito, dove una forte ripresa c’è e dovremo stare molto attenti, anche perché tutti i virus a diffusione respiratoria, come il Covid, in autunno e inverno vanno incontro al culmine della loro diffusione.
Quindi cosa dobbiamo aspettarci?
Con temperature più rigide, irradiazione ultravioletta più bassa e minore umidità è possibile che si verifichi una maggiore diffusione per aerosol. Tuttavia bisogna sempre guardare al tasso di letalità, cioè al numero di morti, e di morbosità, cioè quanto gravi sono i positivi, nonché al numero di pazienti in terapia intensiva.
Cosa dicono questi numeri oggi?
Nel Regno Unito, per esempio, hanno sì qualche caso in più nelle rianimazioni ma non sono nelle condizioni in cui erano a marzo-aprile, quando tra l’altro disponevano di ancora meno posti in terapia intensiva.
Invece noi siamo a un livello molto più basso di incidenza giornaliera rispetto a marzo-aprile?
Sì, siamo a un livello di plateau, visto che oscilliamo sempre tra i 1.200 e i 1.800 casi positivi al giorno. E soprattutto il tasso di mortalità è relativamente molto basso e i soggetti ricoverati in terapia intensiva si aggirano intorno ai 200. Vorrei ricordare che in primavera avevamo quasi saturato le rianimazioni…
Si può parlare di rischio di seconda ondata?
Non so se si può parlare in termini semantici di seconda ondata, perché una seconda ondata si ha quando la prima si azzera e questo è avvenuto solo in Cina. In Italia non c’è mai stato un azzeramento, abbiamo osservato un calo estivo, peraltro atteso, perché la vita all’aperto, l’irradiazione solare inficiano la forza del virus.
Allora possiamo dire che il coronavirus che circola in Spagna è diverso da quello presente in Italia? È ancora il virus di prima?
Il virus è evoluto sicuramente, rispetto a quello di Wuhan. Non è più quello, si è differenziato in sei raggruppamenti diversi (cladi) che comprendono vari genotipi e ciascun genotipo fa riferimento a un progenitore diverso. Abbiamo ormai mille mutazioni in tutto il genoma virale di Sars-Cov-2 e finora abbiamo classificato bene la mutazione 614 sul gene S, ma non sappiamo ancora con certezza quanta influenza abbiano tutte le altre mutazioni, se e quanto possano aver inficiato la virulenza del virus.
Clinicamente il virus è più debole?
In effetti, dal punto di vista clinico, possiamo ipotizzare che, già dall’estate, la bassa carica virale, ancora presente adesso, sia dovuta a qualche mutazione, ma non abbiamo ancora evidenza virologica. Ci vuole tempo. Quindi, dobbiamo stare sempre molto attenti.
In questi mesi ci hanno più volte rassicurato: siamo pronti, c’era da aspettarselo, sappiamo come fare… Intanto aumentano i casi autoctoni. Come se lo spiega?
I casi di importazione erano il 60-70% a luglio, poi abbiamo avuto i casi di ritorno dalle vacanze, adesso l’80% sono casi autoctoni, visto che abbiamo più di 2mila focolai attivi. Ovviamente si tratta di persone che si sono infettate in ambito familiare o di lavoro venendo a contatto con questi casi di importazioni o con soggetti che rientravano dai luoghi di vacanza.
Solo colpa del fatto che abbiamo allentato qualcosa?
Sicuramente questa estate i giovani, dopo tre mesi di lockdown, hanno molto allentato le misure di prevenzione e contenimento. E adesso a preoccupare è il rischio che si infettino le persone più anziane e deboli. Come abbiamo sperimentato in primavera, la mortalità per il 90% ha colpito i soggetti più anziani.
Da agosto è iniziata la terza fase, quella della risalita dei contagi. Eppure si diceva che in estate il virus sarebbe stato meno pericoloso. Che cosa è successo? Ci sono ragioni biologiche, epidemiologiche che spiegano questa risalita?
In estate il virus vive pochissimo: temperature elevate, condizioni di umidità relativa e irradiazione ultravioletta agiscono come stress sulle goccioline che noi emettiamo (droplets) di 4 o più micron di diametro. In più, all’aria aperta con ventilazione naturale, è molto più difficile infettarsi, perché quando espelliamo il virus dalle mucose respiratorie, questo, essendo un parassita obbligato delle nostre cellule non ha vita autonoma nell’ambiente esterno, e trova quindi grandi difficoltà a sopravvivere. Avviene con tutti i virus che si diffondono per via aerea. Ed è avvenuto in parte anche con la diffusione del SARS-CoV2, però ha funzionato un po’ meno perché in molti hanno abbassato la guardia.
Se è sopravvissuto in estate, quest’inverno potremmo ritrovarci nella stessa grave situazione della primavera scorsa?
Possibile. D’inverno succede un po’ quello che avviene nelle celle frigorifere: quando emettiamo le droplet, queste trovano l’aria fredda che le polverizza; quindi le goccioline di 4 micron diventano goccioline più piccole (meno di 1 micron) che si diffondono come aerosol e in tal modo il virus viaggia a maggior distanza e si preserva più a lungo in ambiente dove l’aria ricircola senza ricambi o espulsione forzata. Visto che ci stiamo avviando verso la stagione fredda, dovremo preoccuparci di più. Ricordando una cosa: questo virus non è che ritorna, è endemico, gira per tutto il mondo.
Come difenderci? Facendo più tamponi?
Non bastano i tamponi, che pure sono utili. Possiamo difenderci soprattutto proteggendo gli anziani e i soggetti affetti da più patologie croniche, evitando assembramenti, usando correttamente le mascherine assieme all’ex misure di igienizzazione e sanificazione e adottando lockdown molto selettivi e localizzati, perché lockdown diffusi e generalizzati rischiano di chiudere di nuovo il paese e non siamo in grado di sostenerli. Dobbiamo tenere più bassa possibile la curva dei contagi, mantenendola cioè intorno ai 1.200-1.300 casi giornalieri e senza troppi ricoveri in terapia intensiva. Questo virus, che è nuovo, continuerà a circolare, non ce ne liberiamo.
Quindi?
Questo virus, quando lo hanno studiato i cinesi, aveva una mortalità tra l’1,5% e il 2%. Adesso, guardando ai numeri della John’s Hopkins University, abbiamo 31 milioni di casi nel mondo e un milione di morti. Cioè il tasso di mortalità è al 2,9%. Ma stiamo parlando di un denominatore che comprende solo i casi confermati dal tampone. Sappiamo però che l’80% circa dei casi sono asintomatici o paucisintonatici e che in molte parti del mondo non si fanno i tamponi, quindi dobbiamo moltiplicare questi numeri almeno per cinque o per sei.
Cosa intende dire?
Come è stato dimostrato da 4-5 studi clinici di sieroprevalenza ben fatti, con un denominatore più preciso su quante persone sono state infettate, la mortalità oscilla tra lo 0,3 e lo 0,6%, con una media dello 0,5%. Il che vuol dire 5 morti per mille contagiati. Siccome la pericolosità di una pandemia si misura proprio sulla mortalità, questo virus non è la Sars, che aveva una mortalità del 10%, non è la Mers, che aveva una mortalità del 37%, non è ebola virus, che all’inizio aveva una mortalità sopra il 90% e poi con le cure è scesa tra 50 e 70%, e non è nemmeno l’aviaria che, pur avendo colpito poche persone, aveva una mortalità del 70%. Parliamo di una mortalità del 5 per mille che va commisurata non solo con le risorse di cui disponiamo per fronteggiarla, ma anche con il fatto che ci sono malati che hanno dovuto attendere e rinviare cure urgenti salva-vita perché ospedali e pronto soccorso erano intasati. Nessuna pandemia virale ci ha mai estinto, nemmeno il vaiolo; tanto meno ci riuscirà questo coronavirus.
Il viceministro Sileri ha detto che “in Italia ci sarà un aumento dei contagi, ma controllato”. Perché può dire così?
È vero che da agosto abbiamo visto risalire la curva, ma – ripeto – siamo in una fase di plateau, il che significa che in Italia le misure di controllo dal punto di vista epidemiologico stanno funzionando. In più abbiamo imparato a trattare i casi gravi, usando il remdesivir, l’unico anti-virale approvato che funziona in fase precoce; usando l’eparina a basso peso molecolare per prevenire inconvenienti da coagulopatia infiammatoria; usando il desametasone quando occorre, in una fase più avanzata per ridurre la tempesta citochinica prodotta dal virus. Abbiamo imparato a evitare le morti improvvise per tromboembolia polmonare.
Siccome anche nel governo sono coscienti che non possiamo affrontare un nuovo lockdown, altrimenti le conseguenze sull’economia sarebbero letali, che cosa dobbiamo fare?
In un’analisi seria rischio-beneficio dobbiamo puntare a tenere più bassa possibile la curva dei contagi. Non potendo rinunciare alla scuola e all’attività delle industrie, che ci permettono di mantenere il Pil, il Servizio sanitario nazionale e la ricerca, dobbiamo rinunciare a ogni forma di assembramento, soprattutto in ambienti con aria condizionata senza doppia mandata di immissione ed espulsione esterna, e costringendo a usare la mascherina quando si è in un ambiente pubblico.
C’è qualcosa che dovrebbe fare adesso il governo in questa terza fase dell’epidemia?
Anziché consultare Comitati tecnico-scientifici di 150 persone, che discutono per mesi se mettere i banchi con le rotelle o se va indossata la mascherina o meno, il governo deve affidarsi a pochi esperti responsabili, come negli altri paesi, in grado di fare un’analisi rischio-beneficio dettagliata e seria.
(Marco Biscella)