Il Covid sta tornando? È la domanda che più assilla in queste ore. Mentre le conseguenze economiche del virus si concretizzano, su tutte le homepage dei principali quotidiani italiani si susseguono notizie di nuovi contagi in giro per il mondo, dei dati pessimi che arrivano da alcuni Stati Usa ma anche da nazioni vicine come la Spagna. Dobbiamo aspettarci una seconda ondata a breve, anche prima dei mesi invernali descritti dagli esperti come quelli più favorevoli a una recrudescenza del Covid?



Lo abbiamo chiesto a Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università di Milano, direttore sanitario della Fondazione Istituto “Sacra Famiglia” di Cesano Boscone (Milano) e membro dell’European Influenza Surveillance Scheme (Eiss). “Molti paesi non hanno potuto fare la prevenzione che abbiamo fatto noi. Sono loro che possono riportarci il contagio, penso in primo luogo alle nazioni dei Balcani”. Eppure i numeri dicono che in Italia terapie intensive e morti rimangono bassissimi. “È vero, c’è stato un crollo dei malati, ma non possiamo comportarci come se fosse finita”. Finirà quando avremo il vaccino. “Sempre che gli italiani vogliano vaccinarsi” spiega Pregliasco. “Secondo alcuni sondaggi, a oggi il 40% non sarebbe disposto a farlo”.



Ci aspetta una seconda ondata?

È una possibilità che si rifà a virus del passato simili al Covid che si ripresentarono in fasi successive. In questo caso ce l’aspettiamo per l’autunno-inverno. Il virus rimane una presenza costante, ma non avremo una sua recrudescenza se ci sarà la capacità di individuare casi, ovvero focolai e asintomatici, quelli che non abbiamo visto all’inizio e che hanno causato lo tsunami in Lombardia. E se eviteremo comportamenti incongrui che possono facilitare la diffusione del virus.

In che fase ci troviamo adesso?

La situazione attuale, per fortuna, ci mostra che abbiamo pochi casi e comunque leggeri. Abbiamo capito che questa malattia porta in molti casi a un’influenza stagionale. Questo è un virus a basso rischio specifico: solo nella prima ondata ha fatto danni pesanti.



Eppure in alcune nazioni europee, meno in Italia, si osserva una risalita dei contagi.

Un po’ è colpa della popolazione, che se ne infischia delle raccomandazioni, un po’ per la difficoltà a individuare i focolai che ci sono e che continueranno ad esserci, perché ci sono altri paesi dove la pandemia è arrivata dopo e che vivono adesso il momento che noi abbiamo avuto in inverno. Penso in primo luogo ai vicini Stati balcanici.

Anche in Russia c’è un aumento dei casi.

Quelli della Russia sono numeri impressionanti, come quelli dell’India. Si tratta di paesi dove non è stato possibile applicare un lockdown o una copertura sanitaria universale, come avvenuto da noi.

A questo si aggiunge il rischio che l’immigrazione porti nuovi contagiati.

Sì, ma ricordiamoci che il virus viaggia anche in business class.

Ma come siamo riusciti a tenere i nuovi pazienti Covid lontani dalla terapia intensiva?

La sopravvivenza dei pazienti più gravi, quelli che finivano in ospedale, è aumentata da quando abbiamo capito come trattarli. Ma il problema che avevamo a marzo non era solo che non sapevamo come trattarli, era soprattutto il loro numero: erano troppi per seguirli tutti bene.

Quindi la pratica clinica è importante ma non basta, servono misure preventive di salute pubblica in attesa del vaccino.

Non basta una singola pratica, serve un mix. Anche l’app Immuni può aiutare, ma non sarà la panacea. Bisognerà affrontare la convivenza col virus finché non avremo il vaccino. Sempre che le persone, quando questo sarà disponibile, cosa che per adesso rimane un’incognita, siano disposte a vaccinarsi.

Perché dice questo?

Secondo alcune indagini il 40% degli italiani non sono disposti a vaccinarsi contro il Covid.

È una conseguenza di come è stata comunicata alla popolazione la risposta medica al Covid?

Sì, ed è del tutto normale. La scienza non risolve un problema tra un Tg e l’altro.

(Lucio Valentini)

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