Seid Visin, ex calciatore delle giovanili del Milan e del Benevento, è morto a 20 anni in casa perché si è tolto la vita. In una sua lettera, pubblicata da Adnkronos e ripresa dal profilo Facebook dell’associazione “Mamme per la pelle”, fa risalire al razzismo il suo profondo disagio. “Qualche mese fa ero riuscito a trovare un lavoro che ho dovuto lasciare perché troppe persone, prevalentemente anziane, si rifiutavano di farsi servire da me e, come se non bastasse, come se non mi sentissi già a disagio, mi additavano anche la responsabilità del fatto che molti giovani italiani (bianchi) non trovassero lavoro”.



“Un Paese che spinge un giovane ragazzo a fare un gesto così estremo – ha scritto Claudio Marchisio, ex giocatore ella Juve – è un Paese che ha fallito”. Marchisio ha ragione. Seid Visin era di origini etiopi e, dopo un paio di stagioni nelle giovanili del Milan, era tornato a Nocera Inferiore (Salerno) dove era cresciuto fin da piccolo perché era stato adottato da una famiglia italiana: “sento gli sguardi schifati per il colore della mia pelle”, scrive il giovane nella lettera che ho citato.



Sulle giovani spalle di Seid pesava una triplice diversità: quella del colore della pelle, quella di essere stato adottato ma anche, difficilissimo da ammettere, quello di essere stato adottato da una famiglia del Sud. Però c’è ancora dell’altro.

Tutti noi ci scagliamo, con ragione, contro il razzismo. Ma è necessario aggiungere anche un altro punto di vista. Lo racconta Gigio Donnarumma in un’intervista all’Ansa. Il portiere della nazionale ci dice di aver vissuto con Seid tre anni, dal 2014 al 2016. Entrambi erano promesse del calcio, entrambi provenivano dal profondo Sud e quasi dalle stesse terre visto che Donnarumma è di un paesino a una ventina di chilometri da quello di Seid. Vivevano insieme in un convitto per i ragazzi del vivaio del Milan, situato in un grande albergo alla periferia di Milano. Il dramma di cui parla Seid è il razzismo, ma forse il problema è stata anche la solitudine in cui si è trovato il ragazzo in un momento delicatissimo della vita.



Mi immagino Seid Visin che insieme a Gigio Donnarumma ammirano nel grande albergo le magliette incorniciate di quelli che erano promesse come loro e che ce l’avevano fatta. Mi raffiguro la loro grande solitudine. Vedo Gigio che decolla, che diventa un calciatore importantissimo, mentre Seid non ce la fa, torna a casa e addirittura, secondo la sua lettera, non riesce neppure più a fare il cameriere.

Dobbiamo vergognarci per il nostro razzismo perché non riusciamo a vedere la diversità dell’altro come una ricchezza: ma dobbiamo anche chiederci quanto sia giusto esigere a persone così giovani di lasciare la famiglia per tentare l’avventura dello sport, che per quasi tutti è destinata al fallimento. Pochi giorni fa eravamo qui a raccontarci la morte a 19 anni di Jason Dupasquier. Jason aveva cominciato a correre a cinque anni. Seid e Gigio Donnarumma hanno lasciato casa da giovanissimi. In un’Italia che riparte dopo il Covid stiamo ripensando a tante cose. Non sarebbe il caso anche di decidere un limite per la giovanissima età di chi è una giovane promessa dello sport? Seid Visin ha dovuto affrontare il terribile peso dell’odio razzista da solo, lontano dagli affetti, in un momento delicatissimo della sua vita: nel bel mezzo del difficilissimo percorso per definire la propria identità da adottato oltretutto di origine straniera. Non riesco neppure ad immaginare il dramma nel quale abbiamo lasciato sprofondare il giovane. Però questa non può essere la nostra ultima parola.

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