Domani si apre il semestre europeo della Germania, il paese che esprime le due figure politiche più importanti dell’Europa: Angela Merkel nel ruolo di cancelliera del paese locomotiva e Ursula von der Leyen alla guida della Commissione Ue. Per la Merkel si tratta del secondo semestre, dopo quello del 2007. In agenda ci sono temi molto delicati: la crisi economica causata dall’emergenza Covid, il nodo del Mes e del Recovery fund, la Brexit, i rapporti con Stati Uniti e Cina, il ruolo della Bce dopo la sentenza della Corte di Karlsruhe. Un groviglio non certo facile da districare, come mostra la visita che ieri il presidente francese Emmanuel Macron ha fatto alla Merkel presso la residenza di Meseberg. Che cosa dobbiamo aspettarci dal semestre tedesco? Potrebbe iniziare a prendere forma un’Europa meno attenta all’austerity? Che cosa potrebbe cambiare per l’Italia? La Merkel potrebbe abbandonare il suo tradizionale attendismo? Lo abbiamo chiesto a Sergio Cesaratto, professore di Politica monetaria europea all’Università di Siena.



“Insieme per la ripresa dell’Europa” è il motto che guiderà il semestre tedesco di presidenza dell’Ue che si aprirà domani, 1° luglio. Che cosa dobbiamo aspettarci?

La risposta è quasi scontata: non molto.

Perché?

E’ ovviamente importante che la Germania abbia la presidenza in questo periodo perché è senza dubbio la presidenza più autorevole, la stessa Francia non ne avrebbe altrettanta. La Germania comanda, punto.



Però?

Eurointelligence ha riferito ieri che l’agenzia governativa tedesca che controlla i conti pubblici ha sostanzialmente contestato la spesa in disavanzo avviata dal governo tedesco nelle ultime settimane per contrastare gli effetti dell’epidemia Covid.

Che cosa ci dice questo fatto?

Che il governo tedesco, di fronte a una catastrofe, può sì violare la regola del pareggio di bilancio, ma poi deve rientrare dai disavanzi correnti. Sarebbe quindi obbligato ad utilizzare un fondo di riserva, che ha una dotazione di una cinquantina di miliardi, per affrontare le spese in deficit, con l’obbligo, appena la situazione migliora, di ricostituirlo, e per farlo si dovrà tornare al surplus di bilancio. La Germania resta un paese che, al di là della propria cattiva volontà politica, è ingabbiato in regole costituzionali come queste – basti pensare anche al caso della sentenza della Corte di Karlsruhe sul Qe della Bce -, che di fatto ne bloccano qualsiasi iniziativa vagamente “keynesiana”.



Però, qualche giorno fa, al Bundestag Angela Merkel ha dichiarato che “l’Europa ha bisogno di noi, proprio come noi abbiamo bisogno dell’Europa. Non è un primo passo verso un cambio di passo politico delle strategie tedesche in Europa, orientato a minore rigidità e maggiore attenzione alle esigenze di tutti i partner Ue?

Non vedo tutta questa apertura alla flessibilità e la stessa Germania deve affrontare grandi problemi, a cominciare dall’esigenza di dover disegnare un nuovo modello di sviluppo, alla luce della crisi dell’automotive e dei rapporti con Usa e Cina. La Germania ha interesse che l’Europa non crolli, ma da qui a immaginare di poter disegnare tutti insieme un nuovo modello di crescita ce ne corre.

E’ anche vero però che proprio il suo modello mercantilista ha destabilizzato l’Ue. Non crede che spetti proprio alla Germania il compito di correggere il tiro?

I tedeschi però ribattono che non sono stati loro a costringere gli altri paesi a entrare in questa Europa comunitaria, dove domina la disciplina tedesca: gli altri hanno scelto volontariamente e deliberatamente. Pensando all’Italia, solo l’economista Federico Caffè percepiva il pericolo di legarsi della Germania, ma l’establishment di centrosinistra italiano decise altrimenti. Quando li si accusa di aver fatto i mercantilisti e di aver perseguito la politica dei bassi salari, i tedeschi rispondono che hanno fatto dei sacrifici, noi no.

Dopo la sentenza della Corte di Karlsruhe che ha bocciato il Qe, i tedeschi vogliono che la Bce lasci la palla della politica fiscale agli Stati che devono arrangiarsi da soli?

La Merkel, il ministro delle Finanze Scholz e la stessa Bundesbank non mi pare si siano accodate a una sentenza che riguarda, è vero, il vecchio Quantitative easing, ma che può mettere in discussione o bloccare il Pepp, l’acquisto di titoli di Stato per sostenere le misure anti-crisi post-Covid), col rischio di far crollare tutto. La Bce si è assunta il compito di tenere in piedi l’economia europea, in particolare i suoi anelli più deboli, ma questo sarebbe un compito anche della politica fiscale, non solo monetaria. Ma abbiamo visto che è difficile parlare di politica fiscale europea.

Questo che conseguenze potrà avere per l’Italia?

C’è di che essere molto preoccupati, soprattutto per il nostro debito e per il nostro deficit, che saranno molto elevati. Possiamo anche ricorrere al Mes e risparmiare 400 o 500 milioni di spesa di interessi annui, ma a un prezzo politico enorme: dopo il Mes non saremmo più il terzo paese più importante dell’Europa, conteremmo meno della Spagna. E comunque sono fondi che vanno restituiti in dieci anni, che passano velocemente. La speranza è che la Bce continui a farci da scudo.

Ma cosa potrebbe succedere se la Bundesbank limitasse il suo impegno a favore dell’euro?

Non si arriverà mai a questo punto, perché verrebbe delegittimata la Bce.   

Nel semestre si dovranno affrontare o chiudere partite delicate, a cominciare dalla lotta alla pandemia, “la più grande sfida” come l’ha definita la Merkel, che ruota attorno a tre nodi da sciogliere: bilancio pluriennale Ue, Mes e Recovery fund. Come si può sciogliere questo intreccio?

La partita del bilancio Ue fa un po’ storia a sé, è uno strumento redistributivo ma non siamo ai livelli dei trasferimenti fiscali degli Stati Uniti. Sulla riforma del Mes eravamo giustamente preoccupati per le condizionalità, per la sua trasformazione in un organismo con molta più presa sui bilanci pubblici nazionali e per l’idea della Germania di sottrarli al controllo politico della Commissione Ue. Ed è giusto che continuiamo a preoccuparci.

E il Recovery fund?

Siamo partiti da una ripresa a marzo del dibattito sugli Eurobond e poi la montagna ha partorito il topolino, un topolino che tra l’altro non è ancora nato, trova l’opposizione degli Stati cosiddetti frugali e assomiglia sempre meno agli Eurobond. Siamo al solito punto: sono quattrini che dobbiamo restituire. Non possiamo certo aspettarci che l’Europa ci regali dei soldi e questo rende tutto più drammatico.

Nessuna apertura agli Eurobond?

La Merkel è stata sempre ferocemente contraria e al momento non vedo spiragli, anzi credo che i tedeschi sarebbero felici di vedere una ristrutturazione del debito pubblico italiano. Gli Eurobond mi sembrano un’idea tramontata per sempre.

Sul tavolo del semestre Ue a guida tedesca ci saranno altri due dossier caldi di politica estera: la Brexit e i rapporti con Usa e Cina. La Germania tutelerà più i suoi interessi o quelli dell’intera Europa?

Non penso che necessariamente la Germania debba avere degli interessi diversi da quelli dell’Europa, dovrebbe anzi avere la convenienza a perseguire una politica europea il più possibile unitaria. Un’Europa più compatta ha sicuramente maggiori margini di trattativa. Ma i cinesi non sono sciocchi, hanno ben presente come gli europei siano divisi e fragili al loro interno. E mi sembra che sia più l’Italia a voler fare la “furbetta” con la Cina, ma alla fine riuscirà a portare a casa poco e rimedierà anche una brutta figura.

Il giorno dopo la sconfitta alle amministrative, Macron è volato a Meseberg per incontrare Angela Merkel: sul tavolo Recovery fund e semestre europeo della Germania. La debolezza di Macron quanto influisce sull’asse franco-tedesco in Europa?

L’alleanza franco-tedesca da tempo non è l’asse portante dell’Europa, è una finzione, perché la Francia da tempo è un paese debole. Chi conta in Europa è solo la Germania, la Francia è il primo dei paesi vassalli, dei feudatari.

Il semestre Ue sarà per Angela Merkel probabilmente la sua ultima ribalta politica. Che bilancio si può trarre dei suoi 15 anni da cancelliera? Dobbiamo aspettarci qualche sorpresa?

Non mi aspetterei purtroppo miracoli. Non è stata lungimirante in questi anni, è stata attendista e molto attenta ai compromessi per non voler vincolare la Germania a compiti che riteneva non fossero di interesse per il suo paese. Ma più che di responsabilità della Merkel penso sia colpa di ciò che c’è di sbagliato nella costruzione europea, un progetto ideato prima di lei per creare deflazione e tenere bassi i salari.

(Marco Biscella)