L’imminente arrivo del “semestre bianco” sta determinando fibrillazioni tra le forze politiche e nelle istituzioni. La vita dell’esecutivo, a dispetto delle qualità mostrate dal Presidente del Consiglio, è resa sempre più difficile dalle frizioni tra le diverse componenti dell’eterogenea maggioranza. Per di più, molti hanno dimenticato l’invito inizialmente formulato dal Premier: limitarsi a parlare con gli atti. Al contrario, tra gli esponenti del governo e della maggioranza si rincorrono dichiarazioni radicalmente contrastanti, quasi che la sfida elettorale sia diventata ormai imminente.
Se si volge lo sguardo al passato, è facile ricordare che l’accavallarsi tra la scadenza del settennato presidenziale e la fase conclusiva della legislatura è stato spesso foriero di situazioni critiche per la stabilità delle istituzioni. I Capi dello Stato ne sono stati consapevoli, tanto che Segni chiese, ma non ottenne, la cancellazione del semestre bianco (in cambio del divieto di rielezione del Presidente), mentre Cossiga ottenne soltanto l’integrazione dell’art. 88 Cost. per il caso, assai particolare, in cui il semestre bianco coincida con l’ultimo semestre della legislatura.
Cosa accadrebbe, allora, se i conflitti tra le forze politiche di maggioranza risultassero così gravi da determinare il concreto rischio di una crisi di governo? Cosa potrebbe fare il Capo dello Stato, preclusogli il potere di scioglimento, per impedire che la situazione precipitasse definitivamente o per rimediarvi? Saremmo costretti a convivere più di un anno con continui e profondi litigi tra i partiti della maggioranza o addirittura all’interno del governo stesso? Di quale autorità, oltre a quella personale del Premier, potrà davvero disporre – sia sul fronte interno che su quello internazionale – un esecutivo profondamente minato da chi dovrebbe sostenerlo?
Formalmente, Mattarella dispone soltanto del potere di inviare messaggi alle Camere, potere che nella prassi è apparso sempre piuttosto spuntato. Certo, può esercitare riservatamente la sua moral suasion, così come può spingersi sino a rivolgere appelli pubblici anche esternando la sua contrarietà rispetto ai comportamenti più irresponsabili. Uno strumento a sua disposizione, in vero, ci sarebbe: dimettendosi, si avvierebbe l’immediata rielezione di un nuovo Capo dello Stato nella pienezza dei poteri, e così i partiti sarebbero messi di fronte alle loro responsabilità.
E, qualunque fosse il nuovo Capo dello Stato, e tanto più se si trattasse dello stesso Mattarella – ipotesi che nessuno allo stato può scartare -, dovrebbero poi o lasciarsi guidare dalle sue decisioni sino alla scadenza naturale della legislatura, o dichiarare l’impossibilità di formare un qualunque governo e subire così lo scioglimento anticipato. In entrambi i casi innanzi ad un solo vincitore, il Capo dello Stato, tutti gli altri apparirebbero sconfitti. Ecco perché è improbabile che la crisi di governo si possa materializzare nel prossimo futuro: non conviene a nessuno, tranne a chi oggi sta all’opposizione. Mentre è del tutto certo che chi vorrà far salire la “temperatura” degli screzi all’interno della maggioranza si troverà non solo sotto le lenti attente del Quirinale, ma anche sotto lo sguardo di un’opinione pubblica sempre più scettica e sfiduciata. E il popolo, come noto, non perdona.
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