Il tema del presidenzialismo evocato in questi giorni in sede politica dalle dichiarazioni del ministro Giorgetti ha certamente un valore simbolico, ma non è direttamente correlato al cambiamento della forma di governo nel nostro Paese, per introdurre la quale non vi è dubbio che occorre una riforma costituzionale. Al più si potrebbe parlare – come fu alcuni anni orsono – di semipresidenzialismo francese “all’italiana”, cioè una modifica che si potrebbe ottenere con una nuova legge elettorale che indirizza decisamente l’elettorato verso una definizione in sede elettorale della personalità che dovrà assumere anche la carica di presidente del Consiglio. Creare con un sistema elettorale ben strutturato una solida maggioranza parlamentare potrebbe in effetti facilitare il percorso e garantire stabilità, sempre che il sistema dei partiti sia disponibile prima a cambiare il sistema elettorale e poi a orientare le proprie scelte e le proprie strategie nel verso suggerito dal sistema stesso.
In altre parole: se evocare il semipresidenzialismo serve a orientare le istituzioni verso una nuova forma di governo, o una forma di governo che rimane tale per costituzione ma si determina direttamente tramite il sistema elettorale e i suoi risultati, può anche essere sensato. Meno lo è se lo scopo è un altro, e cioè conservare in capo a Draghi sia la conduzione del Governo sia la presidenza della Repubblica, cosa che – tra l’altro – non corrisponde alla definizione classica di semipresidenzialismo, almeno come è conosciuto dagli studi costituzionalistici sulle forme di governo.
Se, infatti, una personalità di rilievo riassume in sé le funzioni del presidente della Repubblica e quelle di capo dell’Esecutivo (o se rimane all’interno dell’Esecutivo pur senza presiederlo) allora si è in presenza di un sistema presidenziale puro, che necessità delle relative modifiche costituzionali e di sistemi di elezione che porti il popolo a votare sia per il Parlamento sia per il Presidente, ad un tempo capo dello Stato e capo del Governo. O almeno così si insegna.
E, tuttavia, l’esperienza italiana può essere anche un terreno fertile per una riflessione a tutto campo sulle forme di governo: in questo senso, usare i termini in senso simbolico e non tecnico può dare spunto a discussioni su come orientare il Paese verso un futuro che in effetti pare ancora abbastanza oscuro. Eleggere l’attuale presidente del Consiglio a presidente della Repubblica comporta un riassestamento delle attuali funzioni governative, con una serie importante di nodi da sciogliere, primo fra tutti il ritorno alle urne da parte del popolo italiano, cosa che non pare oggi in cima ai desiderata delle forze politiche. Altre possibilità per giungere a cambiamenti nei ruoli di vertice non si intravedono, nemmeno in nome di un presunto “nuovo” sempresidenzialismo creato ad hoc per uscire dall’impasse.
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