Altro che piezz ’e core. I figli pesano, economicamente e su progetti di vita improntata al godimento, al successo; pesano anche sulla schiena, sulle ossa, fanno invecchiare prima. Realisticamente, c’è del vero. Dipende sempre dalle priorità, dal desiderio che muove la vita, dal significato che le diamo, da quel che consideriamo felicità.
I risultati di un sondaggio Swg per Il Messaggero sconcertano: una coppia su sei non li rifarebbe, i figli. Dove già il verbo mette i brividi, ma svela un pensiero ormai comune: i figli si fanno, quando e possibilmente come vuoi tu. La scienza ce lo permette. Ah, la scienza, il progresso! Sono la risposta ad ogni aspettativa, il destino positivo senza alcun dubbio per migliorare le nostre vite.
C’è anche un film, sugli schermi, che impietosamente traduce in immagini quel che cinicamente è rivelato dai dati statistici: il 15 per cento degli italiani tra i 22 e i 44 anni, ovvero l’età giusta per procreare, non solo i figli non li fa, ma non vuole farli, o se è capitato, ne è pentito.
Non è una gran percentuale, si dirà. Resta quell’85 per cento su cui puntare. Ma sgomenta già il fatto che si possa pensare che un figlio è soprattutto un problema, un peso. Viene spontaneo ricordare le nostre nonne che non avevano neanche la lavatrice e i pannolini, alle prese con chili di biancheria alle fontane, coi mariti al fronte, o a lavorare lontano.
Erano infelici? Non più di noi. Erano stupide? Non più di noi. Ma il passatismo e le nostalgie sono odiose, siamo moderni, il passato è da buttare, il futuro da costruire, come lo vogliamo noi. E una coppia su sei preferisce feste e apericena, nottate da sballo e vacanze ai tropici.
Facile anche qui gridare all’egoismo, all’individualismo imperante, rimpiangendo un’umanità che spalancata al futuro conosce il dono che ogni sacrificio ricambia. Osservazioni vetuste, moralistiche. Allora ci si butta sulla crisi demografica: com’è possibile che non interessi nessuno, si ragiona.
Ridicolo: se a me interessa il carpe diem, e il mio benessere, qui ed ora, che finiscano pure l’Italia e il mondo, non è un mio problema. Al più, ci penseranno gli immigrati, e benissimo. Vengano a fare gli schiavi da noi, per permetterci di essere adolescenti a vita, tatuaggi e codino e coppie aperte, pronte a cogliere l’attimo e il tipo o la tipa di passaggio.
Non mi interessa, ora, il calo demografico. Ci sarà sempre una parte di uomini e donne amanti della vita, desiderosi di giorni felici e generosi. Mi interessa la mentalità, che vedo dilagare pericolosamente come naturale, ovvia, soprattutto tra i nostri ragazzi. Sempre in corsa, sempre tesi non si sa a che, sempre pronti a scansare o prendere a calci gli ostacoli che li frenino, e pazienza se sono i figli, o i genitori anziani, o un amico malato, un lavoro non proprio corrispondente ai sogni.
Come siamo diventati? Cos’è cambiato, antropologicamente, nel tendere a un progresso senza alcun limite che ci vieta il futuro, e ci atrofizza al godimento presente? Che poi è illusione amara: presto o tardi la vecchiaia arriva, malanni ed incidenti arrivano, e questa freccia slanciata a mordere correndo la vita si piega, si china, si pianta al suolo. Malocchio?
No, ancora realismo. Il sondaggio avrebbe dovuto interpellare tutte le coppie che non hanno potuto avere figli. Per capire quale mancanza, quale commozione, quale amore potente le abbia spinte all’adozione, all’affido, e o alle mille forme di maternità e paternità educative, spirituali, che tanto danno e tanto ricevono in dono.
Non vivremo in eterno. Non rincorreremo in eterno un godimento dell’attimo. Non basteranno feste e amoretti a consolare la solitudine, una casa vuota, un malloppo di denaro che annoia e non si sa più come impiegare. Anche in questo caso, nessuna infausta profezia; realismo.
Poi naturalmente una buona parte dei genitori disillusi e pentiti avrebbero dovuto sentire il sostegno di uno Stato che favorisce la famiglia, il lavoro con la famiglia, gli spazi per una famiglia. Una piccola parte, purtroppo, perché per chi ti risponde: “i figli mettono fine con violenza inaudita a quella bella stagione di possibilità che ti sembravano il senso stesso della vita”, come il protagonista del citato film, Figli, non c’è welfare che tenga. Non c’è desiderio che soddisfatto basterebbe, non c’è diritto che non pretenderebbe un altro diritto.
Preoccupa che questo 15 per cento sia in crescita, irrimediabile. Qualcuno, con questo senso della vita, dovrebbe farci i conti, ricominciare a parlarne, sempre che non si leda il sacro dritto, anche qui, di poter vivere meglio facendone a meno.