Gentile direttore,
due eventi di questo periodo hanno riportato, anche se soltanto per pochi giorni, all’attenzione pubblica la questione della famiglia e delle nascite nel nostro paese. Il più recente è la campagna su tutti i social #Dònáti del Forum delle associazioni familiari, un’occasione importante per sensibilizzare in modo capillare e diffuso l’opinione pubblica alla bellezza dell’adozione e dell’affido, soprattutto dopo un periodo di uso strumentale nella lotta politica di certe situazioni particolari.



L’altro è l’ormai nota pubblicazione del primo report demografico provvisorio per l’anno 2019 curato dall’Istat con i dati negativi riguardanti le nascite. Dati negativi che lo stesso istituto così commenta: “Nel 2019 si registra in Italia un saldo naturale pari a -212mila unità, frutto della differenza tra 435mila nascite e 647mila decessi. Preannunciato dall’antitetica dinamica prospettiva di nascite e decessi nell’ultimo decennio, si tratta del più basso livello di ricambio naturale mai espresso dal Paese dal 1918. Ciò comporta che il ricambio per ogni 100 residenti che lasciano per morte sia oggi assicurato da appena 67 neonati, mentre dieci anni fa risultava pari a 96”.



Dieci anni, tutto questo in soli dieci anni, una velocità enorme paragonata ai “normali” tempi demografici!

Un dato statistico non solo preoccupante, se anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ricevendo una delegazione del Forum delle associazioni familiari, ha sottolineato che “questo è un problema che riguarda l’esistenza del nostro Paese. Quindi le famiglie non sono il tessuto connettivo dell’Italia, le famiglie sono l’Italia. Perché l’Italia non è fatta dalle Istituzioni, ma dai suoi cittadini, dalle persone che vi vivono” e che “va assunta ogni iniziativa per contrastare il fenomeno”.



Certamente nel contrastare questo fenomeno il ruolo e le scelte della politica sono fondamentali. Probabilmente, se si fossero avviate negli anni serie politiche di “investimenti” sulla famiglia, non ci troveremmo con questo trend così grave. Tanto è vero che nello stesso rapporto emerge un dato: “prosegue il processo di crescita della popolazione nel Nord (+1,4 per mille), lo sviluppo demografico più importante si è registrato nelle Province autonome di Bolzano e Trento, rispettivamente con tassi di variazione pari a +5 e +3,6 per mille e rilevante anche l’incremento di popolazione osservato in Lombardia (+3,4 per mille) ed Emilia-Romagna (+2,8)”.

Un caso? Una fortuita coincidenza? Non può essere che laddove esiste una politica regionale “minimamente” attenta al bisogno familiare qualcosa cambi? Al di là di letture caratterizzanti gli schieramenti politici e quindi le diversità delle realtà citate, credo che emerga come denominatore comune il fatto che laddove esistano servizi e strutture, dove ci siano le condizioni per una sostanziale sussidiarietà fra pubblico e privato e un approccio sempre meno ideologico alla famiglia, un’inversione di rotta avviene. Occorre infatti superare quella gabbia ideologica che chiude la povertà solo in schemi di classe sociale, ma guardare alla povertà sostanziale e superare l’idolo Isee, per citare alcuni aspetti.

Quindi sicuramente la politica ha le sue responsabilità e sta in questo l’azione di pressione che il ricco e variegato “mondo” delle aggregazioni intermedie e delle persone di buona volontà devono chiedere: non astratte affermazioni di principio, ma progetti e azioni concrete.

Tutto alla politica, dunque? Il desiderio di figli e l’avere dei figli non attiene alla politica, ma alla speranza che ci sia un positivo, un bene che valga la pena di essere vissuto insieme “per sempre”. Forse la tanta solitudine dei singoli o delle coppie, l’orizzonte limitato dei rapporti, le amicizie come like – in una parola: l’oggi del vivere – c’entra con questo. Avere l’occasione di sperimentare e incontrare luoghi e persone nei quali questa speranza vive può essere decisivo.