La sentenza con cui la Corte costituzionale di Karlsruhe ha condannato il Governo e il Parlamento tedesco e imposto alla Bundesbank di non partecipare ai programmi della Bce, se questa non dimostri che il Quantitative easing sia stato proporzionato, non è un attacco a posteriori a Draghi, ma un atto che si proietta nel futuro, per quella che si prospetta come una nuova tappa del “processo prussiano” di costruzione dell’Unione Europea, e non è un caso che sia arrivato in piena emergenza sanitaria e a tre giorni dalla riunione dell’Eurogruppo.



Soprattutto questa presidenza della Corte costituzionale ci ha abituato ad una sfida continua della Germania con le istituzioni europee, nessuna esclusa, e volta a fermare il processo di integrazione europeo sul bagnasciuga dell’intergovernativo e della perfetta simmetria; anche se dovesse costare la vita all’euro e all’Unione Europea.



Sia l’autorevolezza della Corte di Giustizia, sia la capacità della Banca centrale europea sono di continuo messe in discussione dalle sentenze tedesche, a partire da quella sul Trattato di Lisbona (30 giugno 2009), la quale, all’epoca, suscitò tanta indignazione anche da parte della cultura giuridica tedesca che venne sottoscritto un appello di insigni giuristi tedeschi per ricordare alla Corte costituzionale che doveva richiamarsi al principio di cooperazione con il giudice europeo.

La Germania, peraltro, non ha mancato un solo appuntamento dal 1992, dai tempi del Trattato di Maastricht, per avvantaggiarsi quanto meglio e di più, a cominciare dalla fissazione del cambio dell’euro, con il quale fece pagare agli altri, compresa l’Italia, i costi della sua riunificazione; poi, durante la crisi economica e nella vicenda greca, ne approfittò, consentendo ai trust tedeschi di fare acquisti di infrastrutture greche importanti (come gli aeroporti); e, questo, dopo avere imposto alla Grecia la ristrutturazione del debito che in origine era modesto e che fu fatto lievitare con i programmi di “aiuto”; di seguito, il governo tedesco ha praticato il “Bail-in” con l’intervento diretto per salvare le banche tedesche che avevano in pancia un’enorme quantità di titoli tossici; giusto in tempo per imporre all’Italia il divieto, grazie alla direttiva del 2014.



Adesso, in piena crisi da Covid-19, con la sospensione del divieto degli aiuti di Stato – è di ieri l’annuncio – il governo tedesco si accinge a varare un programma di sostegno all’industria tedesca di mille miliardi di euro, che non serve a sostenere la piccola e media industria: bar, ristoranti, artigiani, professionisti, ecc., ma per dare vita ad un grande processo di innovazione del sistema industriale; tanto che la Commissione europea ha avanzato dei dubbi sulla legittimità delle dimensioni dell’intervento finanziario tedesco, squilibrato rispetto agli intendimenti avuti dalle istituzioni europee nel permettere gli aiuti.

Ieri è arrivata la sentenza della Corte costituzionale, per la quale le decisioni del Consiglio direttivo della Bce del 2015 e del 2017 “devono essere qualificate come atto ultra vires, nonostante il giudizio contrario della CGUE” (Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ndr). Di fatto, chiede conto alla Bce di come ha investito i soldi per i programmi di acquisto dei titoli. Come se fosse un segreto. Ebbene, nel bilancio della Banca centrale ci sono 2.189 miliardi di euro di titoli di Stato dei Paesi della zona euro: 534 miliardi sono titoli di Stato tedeschi, 452 miliardi sono titoli di Stato francesi e 393 miliardi sono titoli di Stato italiani.

Bisogna trarre la lezione da queste vicende.

La Corte costituzionale tedesca viola il principio del primato del diritto europeo; viola il giudicato della sentenza della Corte di Giustizia (C-493/17) del dicembre del 2018; viola, per eccesso di giurisdizione, gli articoli 267 e 344 Tfue; accusa in modo infondato la Bce di agire fuori dalle sue competenze come definite dai Trattati europei e, in modo poco responsabile, non si rende conto che sono state proprio quelle decisioni della Bce che hanno salvato l’euro.

La Germania, in tutti questi anni ha violato ripetutamente i Trattati europei, con il surplus di esportazioni e con tutte le furbizie che in ogni ordinamento si possono escogitare, violando il principio della leale collaborazione che vincola gli Stati membri (art. 4 Tue).

Le istituzioni europee, che non sono immuni da pesanti critiche sul processo di integrazione, lo hanno tollerato, per una deferenza ingiustificata; il governo francese lo ha tollerato, in cambio dello sforamento ripetuto del deficit di bilancio. Noi lo abbiamo tollerato. Perché?

Con molta probabilità perché la nostra classe politica non sa fare la politica europea, così come quella interna. Basti considerare cosa è accaduto in questi due mesi di emergenza in Germania e in Italia. In terra tedesca la sanità e l’emergenza civile è competenza dei Länder e il Governo federale s’è guardato bene dall’intervenire, lì ha semplicemente sentiti; e sono stati i Länder tedeschi a decidere di accogliere i malati di Covid-19 dall’Italia.

Ovviamente, il Governo federale era preoccupato dei grandi investimenti e ciò dimostra i vantaggi del federalismo, dove un livello di governo affronta un problema e un altro livello risolve questioni diverse.

In Italia il Governo centrale, che ha mostrato di non avere alcun peso a livello europeo, si è preoccupato dell’audience, nei social e nelle televisioni; ha promesso risorse per superare la crisi economica, ma sinora ha distribuito pochissimo; ha preteso una quantità di potere enorme, violando le regole sui diritti costituzionali e sfidando le Regioni, anziché soccorrerle, come avrebbe dovuto fare, e l’unica preoccupazione reale che ha avuto, alla fine, è quella di impugnare le ordinanze delle Marche e della Calabria.