Rigopiano: in parte si torna indietro. Si ricomincia dal giudizio di appello. La slavina che nel gennaio 2017 ha travolto e distrutto l’hotel sulla montagna abruzzese ha dei colpevoli. E altri potrebbero esserlo ancora.
Ieri la Corte di Cassazione ha parzialmente accolto il ricorso del procuratore generale presso la Corte di appello dell’Aquila, e riformato la decisione dei giudici di merito disponendo l’annullamento della sentenza di appello che, come già quella di primo grado, aveva escluso la responsabilità dei dirigenti del Servizio di Protezione civile della Regione Abruzzo per i reati di disastro colposo e omicidio e lesioni plurime colpose. Con riguardo al sindaco di Farindola e al tecnico del Comune dell’epoca dei fatti, nonché ai due funzionari della Provincia di Pescara condannati dalla Corte di appello per omicidio e lesioni colpose plurimi, la Cassazione ha annullato la sentenza impugnata e ha disposto un nuovo giudizio di appello per rivalutare le loro posizioni.
La Corte di Cassazione ha poi confermato la condanna dell’allora prefetto di Pescara per i delitti di omissione di atti d’ufficio e di falso ideologico in atto pubblico, nonché del capo di gabinetto della stessa Prefettura per falso ideologico in atto pubblico. Sono state, altresì, confermate le assoluzioni disposte in primo e secondo grado per il delitto di depistaggio contestato al prefetto e ai suoi funzionari.
Sono state, infine, confermate le condanne del gestore dell’albergo e del geometra che aveva redatto la relazione allegata al permesso per la ristrutturazione dell’albergo stesso per i reati di falsità ideologica loro attribuiti. Sui risarcimenti in favore delle parti civili si deciderà all’esito del giudizio di rinvio.
Questa la parte della giustizia, quella legata ai ricorsi dei familiari di chi ha perso la vita mentre si trovava in vacanza sulla neve abruzzese e di chi, fortunatamente, è riuscito a salvarsi.
Ma la giornata di ieri, come tante altre nelle udienze precedenti, aveva un’aria particolare, un filo rosso che univa tutti coloro che erano andati a Roma per trovare risposte, per capire se credere ancora in una giustizia giusta. Si è vissuto di ricordi dentro l’aula magna del secondo piano della Suprema Corte, a Roma. I parenti delle 29 vittime della tragedia di Rigopiano hanno atteso ben oltre le ore 17, inizialmente programmate per la lettura della sentenza sulla tragedia che ha coinvolto l’Abruzzo e l’Italia intera il 18 gennaio 2017. Ore vissute dentro il Palazzaccio tra ricordi, considerazioni e speranze. Speranze che erano riposte proprio nella possibilità di ricominciare un processo, in una sentenza che togliesse quelle assoluzioni che erano state giudicate pesanti come macigni da chi ha sofferto in quelle ore tra terremoto e neve, che ha pianto chi non c’è più, che ha contestato le scelte dei giudici. Sui cellulari dei familiari delle vittime sono impressi gli ultimi messaggi, sms e whatsapp che nelle ore immediatamente precedenti il terremoto e la slavina erano stati inviati dalle stanze dell’hotel. “Mamma, male che va restiamo” è l’ultimo messaggio che Marina Serraiocco, moglie del poliziotto Dino Di Michelangelo, entrambi morti sotto le macerie dell’hotel, aveva mandato a sua mamma Clotilde. La donna lo ha mostrato insieme alle foto che sua figlia inviava per far vedere in quali condizioni era l’hotel, ricoperto di neve per oltre un metro, con la voce rotta dalla commozione e dal dolore. “Secondo me la turbina non arriva più” è invece l’ultimo messaggio che la cameriera dell’hotel, Ilaria Di Biase, ha inviato a sua madre Mariangela. La turbina non è mai arrivata per poterli salvare, i primi soccorritori sul posto sono giunti stremati, dopo tante ore di cammino, a piedi, nella bufera, in mezzo alla neve, con sci e pelli di foca. Non un viaggio invano, perché dieci persone sono state estratte vive.
Adesso si attende la decisione che dovranno prendere i giudici della Corte d’appello a Perugia, se condannare o meno coloro che avrebbero dovuto mettere nero su bianco un piano valanghe, ovvero individuare sul territorio quali punti erano a rischio, quali aree dovevano essere interdette alla realizzazione di fabbricati. E forse la colpa principale è stata proprio quella di aver costruito un albergo in una zona a rischio valanghe, dove non doveva esistere, dove prima o poi si sarebbe potuta verificare quella slavina che si è staccata dalla montagna quel giorno di gennaio.
Ma se l’albergo era stato costruito prima ancora della carta valanghe, e se poi proprio questa carta avesse indicato quella zona come esposta a rischio, sarebbe stato chiuso dalle autorità, sarebbe stato demolito? Domande a cui è impossibile dare una risposta, ma che difficilmente troverebbero comunque risposta in un’Italia dove l’abusivismo edilizio è tuttora resistente in zone altamente sismiche e dove nessuno impone abbattimenti o abbandoni di abitazioni. Qualsiasi sentenza arriverà in maniera definitiva, il vero insegnamento da cui si deve trarre un metodo di comportamento è proprio quello di evitare di continuare a utilizzare zone a rischio, abitazioni, case, palazzi, caserme ubicate in zone dove prima o poi qualcosa di grave può succedere.
I familiari delle vittime di Rigopiano ancora oggi, a distanza di 7 anni, con il rischio che molte accuse del prossimo processo siano prossime alla prescrizione, piangono i loro cari, cercando una giustizia che è difficile da individuare, trovare, ottenere con la giusta certezza. Ma i familiari delle vittime, madri, padri, figli e nonni chiedono che quello che è accaduto non accada mai più.
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