La giustizia è uguale per tutti, ma il senso di giustizia cambia da persona a persona. La parola che più ricorre ascoltando i commenti dopo la sentenza d’appello per la tragedia di Rigopiano è proprio giustizia. La sentenza non piace ai familiari delle vittime, che avrebbero voluto condanne più pesanti, avrebbero voluto che anche chi è stato assolto fosse rientrato nel calderone delle persone condannate. A sentire le critiche alla sentenza verrebbe da pensare che una semplice condanna potesse sanare le ferite del cuore. Una fame di giustizia che sembra però assumere il sapore della vendetta. Decine di persone che soffrono, che nel cuore hanno la ferita di aver perso un proprio caro. La sentenza di secondo grado è arrivata in tempi stretti, lasciando così spazio adeguato per un eventuale ricorso in Cassazione. Altra sete di vendetta, altra voglia di giustizia.
Ma Rigopiano, sotto quel maledetto albergo, ha coperto per sempre le speranze di chi oggi non c’è più. Sarebbe facile unirsi al coro e dire che chi è stato condannato ha subito sentenze morbide, che chi non è stato condannato doveva esserlo per il comportamento avuto in quel lontano 18 gennaio 2017, quando, sotto una neve copiosa e abbondante, ci pensò il terremoto a sconvolgere la quotidianità di decine di persone.
I familiari delle vittime ribadiscono le tante segnalazioni, giunte addirittura quando le vittime potevano ancora lasciare l’albergo. Ma non l’hanno voluto lasciare. Un giorno di vacanze in più, sotto la neve, era stato visto come un giorno di festa. Oggi, a posteriori, troppo facile dire che le misure di sicurezza erano scarse, che gli interventi non sono stati effettuati con la necessaria celerità. La tragedia di Rigopiano rimarrà sempre e per sempre nel cuore di coloro che hanno perso un proprio caro sotto il crollo dell’albergo. La condanna per i vertici della procura di Pescara rappresenta la prova provata che qualche passaggio nel meccanismo dei soccorsi è saltato e ha causato non pochi danni, non pochi morti. Ma piangere i propri morti non significa necessariamente sete di vendetta. I familiari di queste vittime hanno ricevuto dallo Stato i risarcimenti, dalla giustizia le condanne, ma la pace del cuore a loro può essere solo donata da una grande Fede, che non guarda le colpe ma punta lo sguardo verso un qualcosa di più grande.
Le vittime di Rigopiano sono diventate quasi un fenomeno mediatico che si ricorda ogni anno, quando la rabbia del 18 gennaio diventa uno strumento per trovare una giustizia quasi dovuta. Ma nessuno ricorderà mai che vicino a Campotosto, a non molti chilometri di distanza, lo stesso giorno, in quelle ore, era stato trovato senza vita Enrico De Dominicis, 73 anni, pensionato Enel. De Dominicis viveva con il fratello e all’arrivo della slavina stavano entrambi uscendo di casa dopo un’altra scossa di terremoto. Il fratello si è salvato. Lui venne investito in pieno. Oggi nessuno parla di lui e piange la sua morte a livello mediatico, eppure la sua morte vale quanto quella delle vittime di Rigopiano. Su per giù stesso giorno, su per giù stessa ora, ma con una visione diametralmente opposta dei fatti. Dimenticato dal mondo, senza colpevoli, senza giustizia.
Adesso invece, per Rigopiano, si ricorrerà in Cassazione. Ma da qui alla sentenza ci saranno altre fiaccolate, altre proteste. Chi non c’era in tribunale forse avrà meditato una nuova forma di giustizia. Di quel momento, hanno sottolineato i familiari delle vittime, manca la giustizia. La giustizia terrena, quella che insieme al denaro non servirà a lenire il dolore dei cuori.
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