Negli ultimi tempi stiamo assistendo ad un dibattito, a dir poco vivace, sul Meccanismo europeo di stabilità (Mes), con toni molto accesi tra schieramenti che, come in ogni “guerra di religione” che si rispetti, sono più impegnati a giustificare la propria tesi preconcetta piuttosto che analizzare in modo obiettivo le norme che disciplinano la governance economica europea, incluso il Mes, tanto che, secondo alcuni, la disciplina relativa al finanziamento del Mes andrebbe interpretata secondo un non meglio identificato principio di proporzionalità o di discrezionalità nell’erogazione del finanziamento.
Proviamo a fare un po’ di chiarezza fermando l’attenzione su due punti: l’esistenza di condizionalità in fase di accesso ai finanziamenti Mes e la possibilità di introdurre condizionalità o, peggio, aggiustamenti macroeconomici in futuro.
Quanto al primo punto si è sostenuto che l’accesso al Mes e a questa sua linea di credito chiamata Pandemic Crisis Support (proprio per la sua funzione “anti-Covid 19”), sarebbe soggetto a un’unica condizione: spendere i soldi del Mes per spese sanitarie.
Tre sono gli argomenti a sostegno.
La presunta genericità delle norme dei Trattati e dei Regolamenti Ue; il fatto che queste condizionalità dovrebbero essere definire in specifici Protocolli d’intesa o Memorandum of understanding (Mou) da sottoscriversi fra Commissione e Stato richiedente; il fatto che il 15 maggio il Consiglio dei governatori del Mes ha già approvato questa linea di credito rafforzata, con la sola condizionalità del vincolo di spesa.
Tutto bene, dunque?
Parrebbe di no, visto che questa ricostruzione urta con il Trattato Mes, con il Tfue e le norme di diritto derivato in vigore (il Reg. 472/2013 e persino le Linee guida del Mes sull’assistenza finanziaria precauzionale).
Il Trattato Mes stabilisce che se il Mes concede a un suo Stato membro un’assistenza finanziaria, la Commissione europea (che agisce in nome e per conto del Mes) dovrà negoziare, insieme alla Bce, il Mou con lo Stato interessato nel quale saranno precisate “le condizioni contenute nel dispositivo di assistenza finanziaria” e che dovrà riflettere “la gravità delle carenze da affrontare e lo strumento di assistenza finanziaria scelto” (art. 12 Trattato Mes).
Sin qui tutto abbastanza semplice: ogni Stato ha i suoi problemi e nel Mou se ne dovrà tenere conto.
Ed è qui, però, che cominciano le dolenti note, visto che per il Pandemic crisis support si è già deciso di adottare non già la linea di credito condizionale (la cosiddetta Pccl), bensì quella rafforzata (Eccl). Che è la tipologia utilizzata quando si sa in partenza che lo Stato richiedente ha qualche problema con il Patto di stabilità e crescita, ad es. problemi di debito pubblico o di deficit eccessivi.
Si parte, insomma, da una situazione in cui è già chiaro a tutti che la linea di credito sarà quella prevista per gli Stati che hanno situazioni economico-finanziarie “difficili”.
Insomma, lo Stato negozia il suo Protocollo d’intesa con il Mes. E però, andando a leggere le Linee guida adottate dal Mes, si scopre che in caso di concessione di una linea di credito rafforzata lo Stato che ne è beneficiato dovrà adottare le misure correttive volte a ridurre le sue debolezze economico-finanziarie e ad evitare ogni futuro problema di accesso ai mercati finanziari e, in più, dovrà anche assicurare il continuo rispetto dei criteri in base ai quali gli è stato concesso il finanziamento (art. 2.4 delle Linee guida).
Quindi, nel caso del nostro Pandemic crisis support, non solo lo Stato dovrà usare i denari avuti in prestito dal Mes per spese sanitarie, ma dovrà anche fare tutto quanto in suo potere per ridurre le proprie debolezze economico-finanziarie.
Il che mi pare una condizionalità e non da poco.
Purtroppo, le norme ed i Trattati non sembrano lasciare molti margini di flessibilità, perché lo Stato richiedente finisce con l’essere soggetto al controllo di più istituzioni.
Infatti, da una parte, c’è la Commissione europea, che, insieme alla Bce dovrà applicare la “sorveglianza rafforzata”, imposta dal Reg. 472/2013 (che fa parte del Two pack), che prevede, a scalare, anche i programmi di aggiustamento macroeconomici, cioè le famose politiche di austerità.
Dall’altra, c’è lo stesso Mes, che non appena delibera la concessione di un finanziamento (uno qualsiasi, comunque lo si chiami) attiva una sua procedura di Early warning, cioè un “sistema di avviso” che serve a garantire il tempestivo rimborso degli eventuali importi dovuti dallo Stato che ha beneficiato del finanziamento (art. 13, Trattato Mes e art. 6, Linee guida).
E, per tornare alla decisione del Consiglio dei Governatori del Mes del 15 maggio scorso, in quella decisione c’è scritto addirittura che questo sistema di avviso, questo Early warning, dovrà essere rafforzato.
Ma, ci si potrebbe chiedere, perché mai dovrebbe essere rafforzato il “sistema di avviso” da parte del Mes?
La risposta è semplice: perché questo strumento è finalizzato ad analizzare la capacità di restituzione del finanziamento da parte di chi ne ha usufruito. Se c’è il rischio che lo Stato beneficiato non sia in grado di restituire il prestito, il Mes può sempre decidere di terminare unilateralmente la linea di credito accordata e mettere lo Stato membro nelle condizioni di richiedere un prestito puro ex art. 16 Trattato Mes, collegato automaticamente ad un programma di aggiustamento macroeconomico (art. 7.2 Linee guida).
E qui si passa al secondo punto: la possibilità di modificare le condizionalità in un secondo momento, successivo al rilascio del finanziamento.
Anche in questo caso, da più parti si sostiene la non modificabilità nel tempo delle condizioni, con la motivazione principale che, trattandosi di una linea di credito disciplinata da un Mou bilaterale fra Commissione (che, lo ricordo, agisce in nome e per conto del Mes) e Stato richiedente, nessun accordo scritto può essere modificato unilateralmente.
Il punto è che le Linee guida del Mes prevedono altro e cioè proprio la possibilità di modificare le condizionalità dopo la sottoscrizione del Mou.
Ma lo prevede anche il Trattato Mes. Perché dopo che lo Stato ha già ricevuto la prima tranche di fondi, il Mes può decidere (sulla base di una valutazione condotta dalla Commissione europea, di concerto con la Bce), di cambiare la linea di credito accordata, nell’ipotesi migliore modificandone le condizionalità e prevedendone di più rigorose, oppure decidendo che sia necessaria un’altra forma di assistenza finanziaria, che non potrà che essere il prestito puro; con il che ricadiamo nell’ipotesi precedente della obbligatorietà di un aggiustamento macroeconomico ad esso collegato (art. 14.6 Trattato Mes e art. 7.3 Linee guida).
Né – del resto – potrebbe essere altrimenti: ogni banca (ed il Mes, con tutte le approssimazioni del caso, è una sorta di “super” Banca con caratteristiche assai peculiari) si riserva sempre il diritto di modificare o revocare un affidamento o un finanziamento, quando la situazione economica del cliente sia tale da mettere a rischio il recupero di quanto erogato.
Insomma, per quanto si voglia piegarli ed interpretarli in modalità “tarallucci e vino”, i Trattati e le norme eurocomunitarie non consentono, né potrebbero consentire, l’erogazione di linee di credito senza rigorose condizionalità, tanto meno eterne ed immodificabili, specie in caso di crisi economico-finanziaria dello Stato beneficiario del credito.
Del resto, non è un caso che praticamente dappertutto (Tfue, Trattato Mes, Reg. Reg. 472, Linee guida, ecc.), parlando di condizioni e di controlli, viene esplicitamente utilizzato il termine “rigorosi”. E mai come in questo contesto “le parole sono importanti”, nonostante i tentativi, da parte di alcuni sostenitori acritici del Mes, di declinare questo rigore in accezioni sempre più morbide ed accomodanti. Ma rigore è scritto e rigore resta.