Pagamento in rubli o meno, anche dopo la lunga telefonata fra il nostro premier Mario Draghi e il presidente russo Vladimir Putin, la Russia potrebbe arrivare a un blocco o a un razionamento delle forniture di gas all’Europa? Lo scenario non si può escludere del tutto, come ha confermato il vicepresidente della Commissione europea, Frans Timmermans, rispondendo due giorni fa a una domanda sull’allerta lanciato in tal senso dalla Germania: “Noi in quanto Commissione già ci siamo preparati parecchio a questa situazione che potrebbe succedere, ma che speriamo non si presenti. Noi siamo preparati a tutto. E lavoreremo a fianco agli Stati membri in modo che tutti quanti siamo preparati il meglio possibile”. Ecco, quante carte alternative ha in mano l’Italia per sostituire una eventuale carenza di gas russo? Lo abbiamo chiesto a Michele Marsiglia, presidente FederPetroli Italia, secondo il quale il nostro paese ha due jolly da poter calare sul tavolo: Africa e medio Oriente. Anche se i problemi non mancano.
Il pagamento in rubli minacciato dalla Russia scatterebbe da oggi. Cosa sta succedendo?
Oltre alla guerra militare, è in corso una guerra economica, tanto che c’è chi prevede che non solo per gli idrocarburi, ma anche per altre merci potrà arrivare la richiesta di pagare in rubli. Detto questo, la questione della valuta di pagamento porterà sicuramente un maggior caos e una grossa volatilità sui mercati, sia del greggio che del gas.
Restiamo un attimo sul petrolio. Ieri si è tenuta la riunione dell’Opec+, il cartello dei produttori che comprende anche la Russia. Nessuno scossone in vista?
Dopo che l’Arabia Saudita aveva già dichiarato, in fase di pre-vertice, che avrebbe mantenuto un ottimo rapporto con la Russia, l’Opec+ ha confermato che le quote petrolifere resteranno invariate, con l’aumento, da tempo programmato, della produzione di petrolio di 432mila barile al giorno a maggio.
Gli Usa intanto ci hanno promesso che manderanno navi con Gnl. Che copertura possono garantire? Ed è un’operazione economicamente vantaggiosa?
Il trasporto via mare del Gnl è un’operazione conveniente solo se si guarda a questa parte di mondo, Africa e Medio Oriente, dove ci sono le nostre location principali di idrocarburi. Trasportare gas liquido dagli Stati Uniti può essere una soluzione nell’immediato, ma non è per nulla economico, perché si affrontano costi esorbitanti, fuori mercato, anche solo per semplici ragioni di logistica, dovendo attraversare tutto l’Atlantico e partendo da prezzi di produzione già alti. Diciamo così: è una costosa aspirina, non certo la cura della malattia. E vorrei anche ricordare che l’American Petroleum Institute ha dichiarato che le scorte petrolifere statunitensi sono in netta diminuzione, oltre il 25% in meno. È un indicatore molto importante per noi che stiamo al di qua dell’oceano.
Anche il Qatar potrebbe offrire maggiori forniture di gas liquido via mare?
Sì, implementerà il suo apporto al fabbisogno energetico italiano: attraverso le gasiere il suo Gnl arriva al terminale di Porto Viro, in provincia di Rovigo, di cui il Qatar è socio, assieme a Edison, e dove sono già in corso i lavori sul rigassificatore per poter ricevere quantità maggiori.
In caso di blocco delle forniture dalla Russia, nel breve periodo una mano può arrivare da Algeria e Libia?
Sicuramente sì, grazie agli accordi che Eni mantiene da decenni. L’Algeria, che è un ottimo partner commerciale, ha già confermato grandi quantità sia di petrolio che di gas. E anche dalla Libia, che sta tornando a livelli produttivi più stabilizzati, non abbiamo problemi, così come dal resto dell’Africa: Angola, Congo, Nigeria, Mozambico…
Ma il gas africano può sostituire l’apporto di energia che arriva dalla Russia? Non servono tempi lunghi?
L’Africa, che è per tutti anche il nuovo Eldorado petrolifero internazionale, può sostituire la Russia se c’è una giusta politica di sviluppo industriale per l’approvvigionamento.
In concreto?
Funziona in prospettiva se si instaura un ottimo rapporto con i paesi produttori, avviando gli investimenti, le linee di collegamento, cioè le pipeline, e una politica energetica, anche via nave.
Ma non è anche questo, pur sempre, approvvigionamento estero?
È sì approvvigionamento estero, ma in Africa, attraverso Eni, noi siamo operatori.
Quindi?
Ciò vuol dire che i pozzi sono anche di nostra proprietà, anche noi vi abbiamo investito, quindi sul prezzo di produzione abbiamo voce in capitolo anche noi. Ed è quello che non succede con il gas che arriva dalla Russia o dall’Azerbaijan. Per poter calmierare i prezzi del gas bisogna essere proprietari di piattaforme e in Mozambico, per esempio, tra le principali aziende che operano nel Gnl ci sono Eni e Saipem.
Quanto potranno essere sicure e garantite le forniture dall’Africa?
L’Africa è un continente difficile, vuoi per l’instabilità generale, vuoi per la presenza del Daesh. E sebbene l’Italia abbia una presenza molto avanzata, per oltre 20 anni siamo stati un po’ fermi.
Cosa manca per ripartire?
Manca una visione di prospettiva di tutto l’indotto petrolifero italiano. Una mancanza dovuta alla paura e all’incertezza. Ma grazie agli ottimi rapporti di cooperazione che l’Italia può vantare con molti Paesi africani, possiamo essere favoriti nello sviluppo dei giacimenti, dei pozzi e delle relazioni politiche.
Serviranno comunque investimenti in infrastrutture?
Servono investimenti importantissimi. In Africa i gasdotti ci sono, mancano i collegamenti fra i diversi Stati. Pur senza questa interconnessione, si possono però sviluppare delle reti di collegamento all’interno dei singoli Stati o forme diverse di trasporto logistico. Sempre in Mozambico, per citare un altro esempio, il progetto che Saipem sta sviluppando per il Gnl è il più grande al mondo che la Saipem abbia mai realizzato.
Adesso con la guerra in Ucraina il passaggio del gas dall’Azerbaijan avverrà soprattutto via Turchia?
Sì. Il problema è che la Turchia non rinuncerà sicuramente al passaggio di questo gas. Negli ultimi 5-10 anni si è data da fare per diventare un grosso polo petrolifero a livello internazionale, sia per le rotte sia per lo sviluppo dei depositi. Erdogan sta attuando una politica di espansione petrolifera anche in Libia, dove ci ha sottratto alcuni appalti, e questo ci ha causato un po’ di problemi negli ultimi due anni, quando l’Italia è stata politicamente un po’ assente dalla Libia. La stessa cosa la sta facendo al largo di Cipro.
A tal proposito, che fine ha fatto il progetto EastMed-Poseidon, nato nel 2016 per portare anche in Italia il gas estratto nelle acque tra Israele e Cipro?
A Cipro la situazione è bella, ma anche difficile. Bella, perché in quelle acque attorno all’isola, dove si gioca la vera partita, di gas ce n’è in quantità enormi. Ma fin quando non si deciderà la ripartizione delle quote di idrocarburi tra la Turchia, che fa il braccio forte, e la Grecia, un po’ più debole, non si riesce a fare niente. E tra le opzioni per sostituire il gas russo questa è la meno probabile, specie per gli sviluppi politici, visto che c’è anche un giacimento, davanti alla Striscia di Gaza, in cui è coinvolto anche Israele.
Si può allora rafforzare il Tap?
Il Tap non si può rafforzare come infrastruttura, ma è possibile aumentare l’approvvigionamento dei terminali di arrivo e la capacità di trasporto del gas. Ci vuole però tempo: per far arrivare il Tap a una capacità di 20 miliardi di metri cubi di gas trasportato, il doppio rispetto a oggi, ci vogliono non meno di 5 anni.
Noi importiamo gas anche da Norvegia e Olanda. Sono forniture espandibili?
No. I giacimenti del Mare del Nord non possono dare una produzione extra tale per cui potrebbe beneficiarne anche il nostro Paese.
Che ruolo gioca l’Eni in questo scenario complesso?
Eni è la nostra fortuna energetica e lo è ancora di più in questo momento: con i rapporti internazionali che ha coltivato, è diventata una delle prime compagnie petrolifere a livello mondiale, operando in più Paesi, tanto che su Medio Oriente e Africa siamo, come Italia, più coperti rispetto ad altri Paesi.
(Marco Biscella)
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