Il decreto emanato da Putin a fine marzo, che impone a Stati e società energetiche di pagare il gas russo in rubli, aprendo un secondo conto corrente, il conto K, oltre a quello in euro, presso la Gazprombank, ha già sortito un primo risultato: un’Europa che si muove in ordine sparso e che ancora non ha una soluzione in mano.
Se Germania e Austria hanno ribadito che continueranno a pagare il metano in euro, l’Ungheria, che dipende per l’85% della fornitura di gas e per il 65% dell’import di petrolio dalla Russia, ha annunciato che utilizzerà il sistema di pagamento in rubli.
Sul fronte, invece, delle società private dell’energia, secondo l’agenzia Bloomberg, che cita una fonte anonima vicina a Gazprom, dieci società europee (i nomi non vengono citati) hanno già aperto i conti necessari per soddisfare il diktat del presidente Putin.
Ma per la Ue chi ottempererà a questa richiesta commette una violazione delle sanzioni contro la Russia. Bruxelles non può accettare che “le aziende siano obbligate ad aprire un secondo conto” e che il pagamento sia considerato “completato soltanto quando viene convertito in rubli”. In questa guerra del gas, che potrebbe spingere anche verso un embargo europeo del metano siberiano, “il timore – avverte Michele Marsiglia, presidente di FederPetroli – è che tra poco possa scatenarsi un caos impressionante”.
La Russia ha annunciato che ha interrotto le forniture di gas a Polonia e Bulgaria. Che cosa potrebbe succedere adesso?
La Polonia già da tempo stava lavorando per crearsi una propria autonomia sia dal gas che dal petrolio russi, tant’è vero che ha i rigassificatori e non ha mai cessato l’attività di perforazione. Non solo: già adesso stanno ricevendo gas liquido da Stati Uniti e Qatar ed è in costruzione un nuovo canale di approvvigionamento di gas, il gasdotto Baltic Pipe, che da ottobre collegherà la Polonia con i giacimenti del Mare del Nord norvegese.
Ma la Russia può decidere di interrompere le forniture o di esigere pagamenti in rubli, violando contratti già firmati?
Premesso che nei contratti sono generalmente previste delle penali in caso di inadempienze di una delle due parti, l’interruzione delle forniture di idrocarburi è una questione che ha ovviamente risvolti commerciali e di diritto internazionale, tanto è vero che la stessa Polonia ha parlato di violazione degli accordi. Ma non va dimenticato un dettaglio decisivo.
Quale?
È vero che Mosca ha operato un’azione di forza, esigendo i pagamenti in rubli in contratti stipulati in euro o in dollari, ma è altrettanto vero che siamo in presenza di uno scenario internazionale in cui sono state adottate delle sanzioni economiche.
Quindi?
Per quanto ci possa essere un tribunale internazionale davanti al quale si può portare un’accusa di violazione di un contratto, nel contempo non si può tacere il fatto che non si tratta di una querelle meramente commerciale. Siamo in una situazione di emergenza, di guerra e di sanzioni. Non è questione di essere pro o contro i russi, questa è una situazione di guerra per tutti. È una faccenda molto aggrovigliata e anomala.
Anche alcune aziende hanno minacciato di volersi rivalere sulla Russia in sede legale…
Vero. Ma fin dove si potrà arrivare? Quale sarà il foro competente? Sarà un tribunale in Russia o in Polonia o altrove? Credo che l’interesse principale sia che non possa venir mai meno la materia prima, il gas. Sono quindi alquanto titubante che si possa giungere a un processo. Mi sembra un epilogo alquanto irrealistico. Anche perché i mercati dell’energia sono molto complessi e di questa complessità un giudice dovrà senz’altro tenere conto.
Secondo l’agenzia Tass, il presidente della Duma, il Parlamento russo, Vyacheslav Volodin, ha affermato che “le forniture di gas ai Paesi ostili che si rifiutano di pagare il carburante in rubli dovrebbero essere sospese”. Minaccia plausibile per un Paese, la Russia, che ha bisogno come il pane di vendere il suo gas?
Tutto il gas che la Russia non vende all’Europa si traduce sì in una perdita economica, ma Mosca ci guadagna come stock di riserve interne, che può sempre rivendere a Paesi terzi. E infatti la Russia sta ancora esportando il suo metano, per esempio in Medio Oriente. Detto ciò, visto che anche l’Italia figurerebbe fra i Paesi ostili, va sottolineato il fatto che da un blocco dei flussi di gas verso il nostro Paese la Russia avrebbe solo da perdere sotto il profilo degli introiti economici.
Continua però ad aleggiare l’ombra di un possibile embargo del gas russo. La Ue ci sta pensando, la Germania è contraria, ma l’Italia ha già fatto sapere che seguirà ciò che Bruxelles deciderà. Ma se embargo vuol dire razionamento, come ci si prepara? Chi sta organizzando un piano?
In questo momento, entrerà presto in vigore, ma solo per la pubblica amministrazione, un razionamento calibrato delle temperature dei condizionatori. Ma non è ancora chiaro quale potrebbe essere il tetto. Manca però un organo deputato al monitoraggio e al controllo, tant’è vero che si parla dell’ipotesi di nominare un commissario, cui farà capo la predisposizione di questo piano di razionamento – dovesse mai verificarsi il razionamento – attraverso una task force dedicata. Serve una buona organizzazione, altrimenti succederà il caos e sarà impossibile farlo rispettare.
Chi decide quali forniture interrompere? Come, quanto e quando si fa un razionamento della domanda?
Le centrali di compressione dei gasdotti possono essere gestite aprendo o rallentando i flussi di gas, attività garantita da sistemi computerizzati. Il problema è che le aziende potrebbero essere costrette a chiudere i forni, come stanno già facendo adesso, il che inciderà pesantemente sulle filiere produttive e sui trasporti, e questo determinerà un nuovo assetto della nostra economia. E non va dimenticato che le nostre raffinerie funzionano a gas… Aspettiamo però cosa diranno il governo e i tecnici.
Il vero periodo critico, in caso di embargo, sarà il prossimo autunno-inverno. Potremmo arrivati impreparati e scoperti, visto come siamo messi con rigassificatori e stoccaggi?
Gli stoccaggi in Italia fanno i conti da sempre con diversi problemi, perché il processo di stoccaggio non è ancora ottimale. Aprire nuovi siti, così come scavare nuovi pozzi, non è purtroppo semplice, è tutto bloccato, per ragioni di natura normativa. In più, il ministero della Transizione ecologica ha indetto delle gare per l’acquisto e l’immagazzinamento del gas, ma è stata un’operazione fallimentare, alla luce dei folli rincari del prezzo del metano. A tutt’oggi siamo in una situazione un po’ al limite.
E i rigassificatori?
Anche in questo caso tutto bloccato da oltre 10 anni e ci sono impianti che hanno subìto dei periodi di fermo. Ma anche l’approvvigionamento con il Gnl per i rigassificatori arriva dall’estero, con prezzi che non siamo certo noi a decidere. E il Gnl offre solo un vantaggio logistico.
In che senso?
Il gas, quando da gassoso diventa liquido, può essere stivato in una nave in quantità 600 volte superiori. Quindi se ne può trasportare di più. Ma una volta arrivato in porto, va riportato al suo stato originario.
Si dice che l’Italia sia a caccia di due navi che dovrebbero fungere da rigassificatori mobili. Di cosa si tratta?
Queste navi, davvero enormi, si chiamano Frsu: sono piccole raffinerie galleggianti che si affiancano alle piattaforme e fanno un po’ da rigassificatori. Sono navi che andremo ad affittare, a costi onerosi, ma non quanto il prezzo del Gnl. Potenziare i rigassificatori non penso sia la strategia più efficace.
Perché?
Perché si potevano aprire nuovi pozzi in Italia. Ma ora è tardi, perché servono come minimo tre anni.
Invece siamo di nuovo costretti a importare gas dall’Africa e dal Medio Oriente…
Attenzione, però: ad oggi, nonostante tutti i contratti che si stanno siglando in Africa e in Medio Oriente, non sappiamo a che prezzi andremo ad acquistare gli idrocarburi e tra la firma e la produzione ci vorrà un po’ di tempo. Possiamo solo sperare che questi accordi diano i loro frutti il prima possibile. Ma il mio timore è che tra poco possa scatenarsi un caos impressionante.
Che cosa glielo fa pensare?
Prenda il caso dell’Algeria: per fornirci più gas dovrà trovare nuovi giacimenti e scavare nuovi pozzi, ma dove troverà le risorse necessarie per questi investimenti?
Queste sono attività che però metteranno in moto un bell’indotto del sistema petrolifero italiano, non crede?
Certo, ma non sarà un’opportunità solo per noi: l’Algeria farà una gara e potranno parteciparvi tutti.
Tra i possibili fornitori di gas figura anche l’Egitto, dove è stato scoperto il giacimento di Zhor, uno dei più grandi al mondo. Sarà il nostro asso nella manica?
No, purtroppo no, perché non è gas per l’Italia, è destinato al consumo interno dell’Egitto.
Soluzioni più rapide?
Una soluzione immediata a questa crisi non esiste, anche se dovessero arrivare tante navi cariche di Gnl, perché l’Italia non ha un piano di metanizzazione e ci sono territori non ancora serviti da una rete di gasdotti.
(Marco Biscella)
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