Dalla sempre più necessaria separazione delle carriere, fino al processo Open Arms in corso a Palermo contro Matteo Salvini, il viceministro della Giustizia – tra le file di Forza Italia – Francesco Paolo Sisto ragiona sull’attualità e sui prossimi passi che spettano al Governo a guida di Giorgia Meloni in un’intervista rilasciata in questi giorni per il quotidiano La Stampa: il punto di partenza – appena accennato – è quello dell’imminente riforma delle carceri promesse dal segretario Tajani che nella direzione di una “decarcerazione intelligente” che non va interpretata come “automatici sconti di pena”.



Dal carcere alla separazione delle carriere il passo è breve, è Sisto ci tiene a mettere subito in chiaro che l’accelerazione in tal senso non ha nulla che fare con il processo in corso contro Salvini ma con la solo volontà – che definisce “nel DNA di Forza Italia” da Berlusconi in giù – di “ribadire che il giudice deve essere terzo e imparziale“: un tema portato avanti dal governo da “prima dell’estate” e che mira a perseguire quanto definito dalla stessa Costituzione e che – ferma restando la “dozzina di audizioni” mancanti – dovrebbe arrivare alla fine del “primo passaggio parlamentare entro Natale“.



Francesco Paolo Sisto: “Il processo a Salvini non farà altro che rafforzare il governo Meloni”

E dato che l’ha tirato in ballo lo stesso Sisto, dalla separazione la palla passa al processo in corso contro il leader del Carroccio Salvini, sul quale il viceministro ci tiene a mettere immediatamente in chiaro la posizione “garantista” del governo: “Non ci sono processi di primo grado – spiega e sottolinea – che possano dare problemi di compattezza ad un governo” che gode di ampi consensi da parte della popolazione; ed anzi ci tiene a ribadire che situazioni simili “rafforzano la determinazione nel fare il bene del Paese“.

Per quanto riguarda il processo vero e proprio, Sisto ritiene che – pur precisando che “non conosco gli atti” specifici – sia “sicuramente partito col piede [sbagliato]” data l’assurdità logica che “sia chiamato a rispondere solo un ministro per una scelta condivisa da un governo“, a maggior ragione quando la legge prevede che “il Presidente del Consiglio” sia obbligato ad “intervenire (..) se non condivide l’operato del suo ministro”; tralasciando – peraltro – le “contraddizioni relative ad analoghe vicende” che si sono concluse in modi molti differenti.