Prevedere da neonati le eventuali malattie che potrebbero sorgere a livello genetico in futuro e già cominciare a curarle non sarebbe una vera rivoluzione? Forse, ma secondo diversi studiosi, da ultimi i pediatri Usa, pongono giustamente diverse problematiche di natura fisica, medica e soprattutto etica. Da tempo negli Stati Uniti i neonati vengono sottoposti a sequenziamento del Dna per una serie di condizioni che possono essere diagnosticate e trattate in anticipo: farlo anche per patologie che potrebbero svilupparsi da adulti sulle quali ancora non si potrebbe intervenire, secondo lo studio di Pediatrics, potrebbe portare più danni che benefici. Come riporta un interessante studio del Daily Health Industry – tradotto in italiano dal Quotidiano Sanità – lo screening del genoma da neonati può sollevare diversi problemi di natura etica e di equità; «Lo screening neonatale viene spesso eseguito senza il permesso dei genitori ed è giustificato dal fatto che i benefici diretti per il bambino superano di gran lunga i danni», spiega Lainie Friedman Ross del MacLean Center for Clinical Medical Ethics dell’Università di Chicago, coautrice del case study pubblicato su Pediatrics. Utilissimo per le malattie curabili nel breve periodo, il problema si pone sulla totalità di una vera e propria “banca dati” del Dna anche su eventuali malanni “in potenza” che si potrebbero sviluppare in età adulta. «Per giustificare lo screening di tutti i neonati nei programmi obbligatori – osserva ancora Ross – dobbiamo garantire che i benefici superino notevolmente i danni e non possiamo affermare che questo sia il caso di molte delle varianti che identificheremo tramite il sequenziamento».
SEQUENZIARE GENOMA NEONATI: I RISCHI
In uno studio riportato da Pediatrics, il progetto BabySeq nel 2014, si sono esplorati e affrontati diversi tipi di “problemi etici”: «Durante lo studio un rapporto sul sequenziamento ha mostrato che un bambino era portatore di una mutazione Brca2, che può essere associata a un aumentato rischio di cancro al seno. Sebbene la famiglia non avesse una storia di cancro al seno, il team di ricerca si è detto angosciato per non essere stato in grado di divulgare le informazioni, in quanto non correlate a una malattia infantile», riporta lo studio su Quotidiano Sanità. Alla fine il protocollo ha richiesto ufficialmente alle famiglie se volessero ricevere informazioni anche sulla possibilità di malattie – attenzione, possibilità e non certezze – in età adulta; chi è contrario a questo tipo di “sequenziamento completo” spiega che vi è il diritto del bambino ad un futuro aperto e con libertà di scelta su quello che vorrà/non vorrà sapere. «Indagini che banalizzano il significato delle analisi genomiche trascurandone i rischi e vendono più l’illusione di farci conoscere il destino che strumenti concreti per modellarlo davvero», spiegava a OggiScienza Faustina Lalatta, direttrice dell’Unità di genetica medica del Policlinico di Milano, in merito ai test sul sequenziamento alla nascita sul Dna di un neonato. Sempre a OggiScienza qualche tempo fa Alessandra Renieri, responsabile dell’Unità di genetica medica dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Siena, rifletteva «Come conservare i dati di ogni individuo in modo che ne sia garantita la privacy, e come consegnarglieli in modo che possano eventualmente essere riletti in futuro, alla luce di nuove conoscenze genetiche o di malattie che l’individuo dovesse sviluppare? Questi elementi impongono un approccio anche gestionale completamente nuovo al dato sanitario personale».