Troppe bugie sulla dinamica del sequestro di Aldo Moro. A denunciarlo è il magistrato consulente dell’ultima commissione, il giudice Guido Salvini. In via Fani, la mattina del 16 marzo 1978, a sparare furono almeno due-tre terroristi in più di quelli che figurano nelle ricostruzioni ufficiali. Altri due, in funzione di appoggio, erano davvero su una moto accanto ai quattro Br travestiti da avieri con i mitra in mano. “Elementi oggettivi” per il giudice Salvini, il quale a Quotidiano Nazionale parla di “uno o più sparatori in alto a sinistra, rispetto al punto esatto dell’agguato. Annullarono il tentativo di reazione di uno degli uomini della scorta, l’agente Raffaele Iozzino”. Questa ricostruzione si basa sul racconto di una testimone, “molto precisa e attendibile, che ne vide almeno uno”.



All’epoca, la polizia scientifica non la considerò, eppure disse di aver visto, percorrendo a piedi via Fani verso via Trionfale, “sei persone (e non quattro) impegnate nella sparatoria, e non tutte con la divisa colore azzurro degli avieri”. Inoltre, aggiunse di aver visto “un’arma che sparava al di là dell’auto in sosta sul lato del bar Olivetti, con la canna che fuoriusciva dalla sagoma dell’auto”. Questo racconto è stato ripetuto quarant’anni dopo davanti alla Commissione Moro, di cui il giudice Guido Salvini è stato consulente, così come lo è stato della Commissione antimafia presieduta da Nicola Morra, nel gruppo di lavoro coordinato dalla deputata Stefania Ascari, redigendo la relazione finale sull’agguato.



LE TESTIMONIANZE SUGLI ALTRI TERRORISTI

La testimone, spiega Guido Salvini a QN, era una studentessa che quel giorno seguì cosa stava accadendo. Ora svolge la professione di architetto e ha confidenza con le planimetrie e con la collocazione degli oggetti e delle persone nello spazio, “come ha dimostrato durante l’audizione”. Inoltre, il racconto corrisponde a quello di un altro testimone che parlò di altri due terroristi sbucati tra due auto parcheggiate. “Furono loro a sparare all’agente Iozzino, non uno dei brigatisti già conosciuti”. Nell’intervista il giudice aggiunge che per la prima volta è stata ricostruita la scena dell’agguato con piantine dettagliate in cui sono collocati precisamente spettatori, testimoni, auto e bossoli. Dalla relazione emerge anche che il brigadiere Francesco Zizzi fu colpito alle spalle da un terzo sparatore, rimasto senza nome; quindi, non fu ucciso mentre era in macchina. “Non ci sono fori di proiettile nello schienale del sedile che Zizzi occupava sull’autovettura. Uscì e fu abbattuto da uno sparatore che si trovava probabilmente accucciato sul lato destro della strada”.



“PERCHÈ ALDO MORO FU LASCIATO MORIRE”

Uno dei temi più dibattuti è stata la presenza di altri due terroristi in moto. A tal proposito, è stato rintracciato un testimone, ex studente ora primario in un ospedale bergamasco, che ricorda una figura a cavalcioni della moto e vestita da aviere. Il giudice Guido Salvini non esclude un coinvolgimento della criminalità organizzata nel sequestro Moro: “Può darsi vi sia stato qualche appoggio logistico. Invece è certo che si sia proposta e attivata per individuare la prigione”. Lo testimonia anche Maurizio Abbatino, all’epoca boss della Banda della Magliana. Infine, spiega perché Moro liberato non serviva.

Secondo il giudice Salvini, “le istituzioni, il Comitato di crisi e gli uomini del suo partito, dopo che le Brigate rosse annunciarono la piena collaborazione di Moro al suo interrogatorio potevano temere che avesse raccontato e scritto, anche in modo forzato, molto più di quanto effettivamente avvenuto, con conseguenze disastrose, se fosse divenuto pubblico, per il quadro politico interno e le alleanze internazionali”. Dunque, Aldo Moro era “politicamente morto”. Per Salvini “più ancora che morto era divenuto ingombrante”. Per questo, “poteva essere lasciato morire”.