La Nato che rinforza la sua presenza in Kosovo. La Serbia che porta le sue truppe sul confine. Una scena già vista nei rapporti tesi tra Belgrado e Pristina che si sta ripetendo dopo l’incidente che si è verificato in territorio kosovaro, a Banjka, in cui hanno perso la vita un poliziotto e alcuni componenti di un gruppo serbo. In realtà, spiega Azra Nuhefendic, giornalista e scrittrice bosniaca che collabora con il quotidiano di Trieste “Il Piccolo”, non c’è un vero pericolo di guerra: molto difficilmente i serbi attraverseranno il confine.
Anzi, il presidente serbo Vucic non avrà altra alternativa che continuare a trattare, in un negoziato che dovrebbe concludersi con il riconoscimento del Kosovo, anche se la Serbia continua ufficialmente a ritenere che si tratti di un suo territorio. L’ intervento della Nato negli anni 90 che ha portato alla creazione del Kosovo è un precedente a cui hanno fatto riferimento i russi per intervenire in Ucraina; ora, però, la guerra con Kiev ha fatto rialzare la testa a tutti i nazionalisti della ex Jugoslavia. La soluzione del caso Serbia-Kosovo, però, non potrà arrivare che per via diplomatica.
Non è la prima volta che la Serbia ha spostato il suo esercito ai confini con il Kosovo; questa è un’occasione diversa dalle altre?
Lo spostamento dell’esercito non significa nulla, se non l’impotenza della Serbia: oltre il confine non possono andare. Anche perché, dopo l’incidente dei giorni scorsi, una tragedia in cui si sono perdute delle vite umane, la Nato ha rinforzato la sua presenza. Il fatto che la Serbia ammassi le truppe al confine è una minaccia retorica. Fino a che non riconoscerà l’indipendenza del Kosovo de facto e de iure resteremo in una sorta di limbo, con un conflitto a bassa intensità in cui ogni tanto si verificheranno incidenti ma senza veri cambiamenti della situazione. Per capire cosa è successo in quest’area, però, bisogna fare una premessa.
Quale?
Il Kosovo faceva parte della Serbia, ma quando la comunità internazionale lo ha riconosciuto come uno Stato indipendente ha creato un precedente, sul quale insiste Putin per risolvere il problema del Donbass e della Crimea.
In questo momento il livello dello scontro fra Serbia e Kosovo è più grave che in passato?
L’ultimo incidente in Kosovo ci fa capire che la situazione ogni tanto può aggravarsi. Vucic in un primo momento aveva detto che non sapeva niente dell’incidente che si è verificato a Banjska, poi ha riferito che è stato fatto tutto a sua insaputa e questo ha indebolito la sua posizione nelle trattative: ammettere di non sapere cosa sta succedendo è come dire che non ha il controllo in Serbia.
Ma cosa è successo veramente a Banjska, chi sono i serbi coinvolti nella sparatoria?
È gente che fa contrabbando, dietro ai quali ci sono i servizi segreti, che addestrano questi gruppi terroristici, ben armati, ben sostenuti. Non può essere considerato un gruppo di cittadini che non sono contenti della loro condizione in Kosovo. All’origine di questo incidente c’è un gruppo che agiva sotto la protezione serba. Milan Radoicic, la persona che si è assunta la responsabilità dell’episodio, sostenendo di aver organizzato tutto da solo, fa parte di un partito filoserbo di cui è vicepresidente: in un caso del genere non può dire che ha agito come un privato cittadino. La polizia kosovara ha mostrato la sua dimora, una villa enorme, costosissima, e lui viene chiamato l’Escobar del Kosovo.
L’incidente in sé come è nato?
Il gruppo serbo aveva realizzato una barricata con un camion, la polizia kosovara lo ha rimosso. Dopo di che è cominciata la sparatoria e gli agenti hanno risposto. Qualche mese fa si era verificato un altro fatto del genere: erano state erette barricate e bloccata la frontiera, perché chi controlla questa zona controlla il traffico. In Kosovo ci sono enormi traffici illeciti di tutti i tipi, anche di armi, droga e persone.
I protagonisti di questa incursione dicono di aver agito per difendere gli altri serbi del Kosovo. È così?
Non potevano difendere il popolo serbo che vive lì, ma potevano provocare un incidente: non vogliono che la situazione tra Serbia e Kosovo si risolva, preferiscono che rimanga tutto com’è in modo che possano continuare con i loro traffici. Succede così anche in Libia e altrove: dovunque non c’è la legge, non c’è uno Stato che controlla la situazione, esistono questi fenomeni.
Questi gruppi serbi allora agiscono da soli. Esclusivamente per i loro interessi?
No. Non sono indipendenti. Belgrado ufficialmente non può fare cose del genere, allora agiscono i servizi segreti, che possono armare questi gruppi. È stato fatto anche durante la guerra degli anni 90, ma anche questa è una sorta di guerra. Si muovono i servizi segreti serbi ma adesso anche quelli russi che operano in Serbia. Se Vucic dice che non sapeva niente dell’incidente vuol dire che i servizi hanno organizzato tutto a sua insaputa. Il problema è che questa situazione può avere ripercussioni anche in Bosnia e in Montenegro. I nazionalisti dopo il conflitto in Ucraina adesso si sentono autorizzati a cercare di realizzare il loro sogno. Non possono cambiare le frontiere, ma possono causare incidenti in continuazione.
Vucic come esce da questa situazione?
La sua posizione nelle trattative per il Kosovo si è indebolita, perché, appunto, o non controlla la situazione a casa sua o, se la controlla, non può ammettere quello che sta succedendo. I terroristi che agiscono in Kosovo non possono agire senza l’appoggio di Belgrado. È poco credibile che Vucic non sapesse niente: Radoicic si è nascosto in Serbia, la polizia sa dove e non lo ha arrestato.
Ma se i serbi non potranno invadere il Kosovo quali prospettive ci sono adesso?
Possono solo trattare. Ogni conflitto finisce con le trattative. L’unica incognita è quante vittime ci saranno nel frattempo.
L’unico esito possibile è che la Serbia riconosca definitivamente l’indipendenza del Kosovo?
Sì, perché la comunità internazionale sta premendo su Vucic. Lui non è molto gradito: sta giocando tra Russia e Unione Europea come ha fatto Tito per 50 anni fra Oriente e Occidente. Adesso però la situazione è molto cambiata, non funziona più così: alla Ue e agli Usa Vucic serve solo fino a che non riconosce il Kosovo, poi è finito. È ancora lì perché è considerato una persona sulla quale si possono fare pressioni.
L’unica strada percorribile, comunque, è quella delle trattative?
Sì, ci vorrà un po’ di tempo per riprenderle ufficialmente anche se non sono mai cessate del tutto. Vucic però adesso si è indebolito. Non dimentichiamo poi che è stato ucciso un poliziotto kosovaro: senza dimenticare i morti serbi, per i quali mi dispiace, si tratta di un fatto grave.
(Paolo Rossetti)
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