Serena Bortone, uno dei più noti ed amati volti della televisione italiana, nonché probabilmente la più nota ed appassionata sostenitrice dei tacchi a spillo della televisione italiana, torna a raccontarsi e a far parlare di sé. Classe 1970, la Bortone inizia a farsi notare al grande pubblico televisivo italiano, lavorando nell’ammiraglia del Servizio Pubblico, ovvero, la RAI. È infatti la radio televisione italiana a permetterle di mostrare al pubblico la propria grandiosa capacità di intrattenere ed entrare in contatto con i telespettatori al tempo stesso. Il suo percorso a Rai 3, dove cresce nella terza rete guidata all’epoca da Angelo Guglielmi, dove per anni presenterà la trasmissione “Agorà”, la quale si è sempre ritagliata un posto nelle reti pubbliche per la sua capillare individuazione dei principali attori della vita politica. Dopo l’avventura di “Agorà”, la giornalista/conduttrice trova qualche tempo più in là una conferma sulla prima rete, Rai 1 dove continua col programma “Oggi è un altro giorno” a tenere altissimo l’audience. Funziona come giornalista. Funziona come conduttrice. Funziona sempre.



Il segreto del successo di Oggi è un’altro giorno? Aver trovato un punto di equilibrio tra la cultura popolare, storia e approfondimenti. «Se riesci a tenere tutto insieme incidendo su quel che sgorga dalla fontana di piazza, allora è la massima soddisfazione». E ha spinto molto sul fronte dei diritti della persona: «Vero, e anche su una visione della società che fosse inclusiva, rispettosa, politicamente corretta, rimettendo talvolta le cose al loro posto; ma ci siamo occupati molto anche di anziani, mai come quest’anno era importante farlo, e abbiamo avuto numerosi ospiti che hanno condiviso le loro storie di malattia». Riguardo lacrime ed emozioni in tv: «L’importante è che sia spontanea e non pilotata – anche perché, al di là della questione etica, il pubblico da casa se ne accorgerebbe. Capita che durante l’intervista qualcuno pianga? Sì, che c’è di male? È la forza delle persone, su questo non voglio avere tabù».



Serena Bortone, dal romanzo alla vita reale

Associare un determinato romanzo alle figure che hanno dipinto, con colori più o meno gradevoli, il quadro delle vicende italiane, è cosa talvolta semplice, talvolta ardua. Se volessimo raccontare la storia della famigerata banda della Magliana ad esempio, la scelta più ovvia ricadrebbe su “Romanzo Criminale”, il testo scritto dal magistrato Giancarlo De Cataldo, che racconta l’ascesa al potere e la conseguente caduta del gruppo criminale che accarezzò il sogno di comandare la Capitale nella fine degli anni di Piombo.

Emerge invece, sempre dall’intervista della testata “Specchio” al noto volto della televisione Serena Bortone, che quello che forse ne rappresenta una parte importante della propria vita, è il romanzo “Il dramma del bambino dotato” di Alice Miller. I punti di contatto raccontati durante l’intervista sono assai singolari. Sarebbe stata, a detta della Bortone, la necessità di essere una bambina capace di interpretare ed assurgere ai ruoli richiesti dal proprio contesto familiare ciò che l’avvicinerebbe al romanzo. Forse, un’altra grande qualità imprescindibile per chi, sia come giornalista che come conduttrice ha sempre avuto successo. «Mi riconosco nelle infanzie caratterizzate dal dover sempre dimostrare di essere bravi. Me lo chiedevano gli adulti, o era la mia natura? Non saprei, magari sono vere entrambe le cose. In ogni caso, cresci pensando che produrre buone prestazioni, anche relazionali, ti dia la possibilità d’essere amata; poi, a un certo punto, capisci che devi amarti tu per prima e impari a coccolare le tue fragilità. Diciamo che sono stata a lungo vittima di un super io giudicante».

Riguardo il suo modo di condurre, in cui abbinano rigore e al tempo stesso spontaneità: «In me ci sono il calore, la caciara e il rigore assoluto. Mai una volta che io abbia detto: sono stanca, questa cosa non la faccio. Nei gruppi di lavoro sono sempre stata quella che tira, su cui si finisce per fare affidamento». Nell’intervista Serena Bortone ammette però di aver imparato a “coccolare” le sue fragilità e spiega come ha fatto: «Con tanta analisi, in un percorso che mi ha aiutata a capire quanto la perfezione sia noiosa, e col sostegno delle amicizie. Devo molto alle mie amiche femministe, mi hanno insegnato a non giudicare le altre, ad abbracciarle sul lavoro, a cercare sempre la complicità».

Serena Bortone, naturale assurgere al ruolo di “taccara”?

Ad ogni star il suo “accessorio”. Gli occhi viola della notissima star americana Elizabeth Taylor e la sua ben nota passione per i gioielli di alta moda, forse appariranno un paragone un po’ fantasioso. Ci avviciniamo di più se ricordiamo il batterista dei Beatles Richard Starkey e la sua passione sconfinata per gli anelli. Questa passione lo rese infatti celebre nel mondo come Ringo (da Ring, cioè anello) Starr. Ora, chiaramente nè la Taylor, né tantomeno Starr, vengono ricordati per i gioielli e per gli anelli, ma per il loro indiscutibile talento, l’una come attrice, l’altro come musicista della band (forse) più famosa di tutti i tempi.

Ebbene, quale articolo potrebbe essere associato alla Bortone senza per questo adombrarne l’indiscutibile talento? È lei stessa a rispondere. “Per me” dice la Bortone all’intervista di Specchio citata in precedenza “I tacchi sono una gradevole frivolezza, in un mondo dove bisogna tenere sempre alta la guardia e soprattutto usare la testa” e di testa la Bortone ne ha dimostrata da vendere. Come il famoso Re Mida, ha trasformato in oro ogni trasmissione dove ha messo piede e così farà sempre. Scontato.