Anna Rita Torriero vide Serena Mollicone entrare nella caserma dei carabinieri di Arce. A dirlo è Sonia De Fonseca, testimone chiave nel processo per l’omicidio della ragazza scomparsa l’1 giugno 2011 e poi trovata cadavere. Ne ha parlato in corte d’Assise, spiegando ciò che l’amica, che aveva una relazione con il brigadiere suicida Santino Tuzi, le disse: “Era preoccupata, la mattina in cui Santino Tuzi venne trovato morto. Usò il mio telefono per chiamarlo e in quella occasione mi disse di aver visto Serena Mollicone nella caserma dei carabinieri di Arce, dove lei si trovava per essere andata a portare un panino a Tuzi“.
La rivelazione avvenne proprio nei momenti concitati del suicidio del brigadiere, mentre Torriero provava a mettersi a contatto con lui. “Torriero mi disse anche che secondo lei Marco Mottola era coinvolto nel delitto di Serena“, ha detto Sonia De Fonseca in tribunale. Per quanto riguarda proprio il suicidio del brigadiere, ha aggiunto: “Anna Rita mi disse che Santino si era suicidato perché sapeva del coinvolgimento di Marco Mottola nel delitto di Serena e che Tuzi temeva per sé e la sua famiglia“.
LA TESTIMONIANZA DI SONIA DE FONSECA
Ad evidenziare l’attendibilità e l’importanza della testimonianza di Sonia De Fonseca è l’informativa dei carabinieri che raccolsero il suo verbale il 6 ottobre 2008. “Non aveva interessi o implicazioni nella vicenda e di certo non poteva conoscere aspetti molto particolari e circostanziati che non ha vissuto direttamente né potevano essere di dominio pubblico: ne consegue che l’unica fonte da cui la stessa abbia potuto attingerle è davvero la sua amica Anna Rita Torriero, come d’altronde la Da Fonseca ha sempre affermato“, riporta il Corriere della Sera. Ma nell’udienza il pm Beatrice Siravo ha rilanciato il caso di un testimone che sarebbe stato ricattato e minacciato per mentire. L’episodio riguarda le dichiarazioni di Simonetta Bianchi, barista del bar di Chioppetelle che disse di aver visto Serena Mollicone litigare con un ragazzo alle 10 della mattina in cui scomparve. Si tratta della stessa descrizione fatta da Carmine Belli, assolto per l’omicidio, e corrisponde all’aspetto di Marco Mottola, il figlio del comandante della stazione dei carabinieri di Arce.
IL CASO DELLA TESTE RICATTATA PER MENTIRE
Quando nel 2002 venne chiamata a confermare queste dichiarazioni e il riconoscimento, produsse un certificato medico che attestava lo stess causato dall’incidente stradale in cui suo padre morì mentre lei era alla guida. Poi in aula disse di non ricordare. Una tesi, quella della perdita della memoria, definita “illogica” dal pm, perchè la donna era stata sentita altre sette volte prima senza produrre alcuna documentazione medica. Quindi, per il pm il teste è stato “condizionato e quindi non è attendibile” per quanto detto nel processo. Dietro questi timori ci sarebbe la causa di risarcimento e il processo penale cominciato il 18 giugno 2002, quindi fra le due testimonianze. In quel processo, infatti, i carabinieri Mottola e Tuzi erano testimoni per aver redatto il verbale del sinistro e quindi, secondo il pm, l’avrebbero posta sotto “minaccia di esito negati del procedimento a suo carico, facendola oggetto di indebite pressioni“. Peraltro, l’incidente risale al 1999 e la donna non ha mai detto di averne subito lo stress, né ha mai chiesto un giorno di assenza dal lavoro. Sulla richiesta la corte si è riservata di decidere.