Santino Tuzi avrebbe reso dichiarazioni “credibili” quando disse agli inquirenti di aver visto Serena Mollicone entrare nella casema di Arce il giorno della scomparsa e non uscirne più. Lo sostiene la Procura generale nel processo per l’omicidio della 18enne che è in corso davanti alla Corte d’Assise d’appello a carico dei cinque imputati assolti in primo grado –  l’ex maresciallo dei carabinieri Franco Mottola, la moglie Annamaria, il figlio Marco e i due militari Vincenzo Quatrale e Francesco Suprano (questi ultimi, ricostruisce Ansa, accusati rispettivamente di concorso nell’omicidio e favoreggiamento) – relativamente alla versione iniziale del brigadiere morto suicida nel 2008 in circostanze ritenute anomale dalla stessa famiglia.



Ascoltato per la prima volta dagli investigatori il 28 marzo 2008, il carabiniere Tuzi aveva infatti raccontato che la ragazza era entrata in caserma la mattina della sparizione e lui non l’aveva più vista uscire. Il militare aveva cambiato versione il 9 aprile seguente, nuovamente sentito nell’ambito delle indagini sulla morte di Serena Mollicone, e aveva ritrattato. In quella stessa giornata, però, successivamente aveva smentito la stessa ritrattazione tornando a confermare la prima ricostruzione fornita agli investigatori. Nel processo di primo grado, Tuzi fu tacciato di “inattendibilità” e ora, in appello, il pg avrebbe invece definito attendibili le sue parole. La stessa figlia di Tuzi, Maria, ha ribadito più volte la sua convinzione:Mio padre non era inattendibile, aveva soltanto timore per quello che stava dicendo. Sapeva di fare la cosa giusta, ma nello stesso tempo lo faceva contro persone più forti di lui. Non aveva motivo di suicidarsi“.



Delitto di Arce, pg: “Serena Mollicone impattò contro la porta, poi morta per asfissia…”

Nel corso della sua requisitoria, che dovrebbe concludersi il prossimo 24 giugno con le richieste di condanna a carico degli imputati nel processo per il delitto di Arce, come riporta l’agenzia di stampa, il procuratore generale della Corte d’Appello di Roma ha affermato che, in base alle consulenze tecniche, Serena Mollicone impattò contro la porta all’interno della caserma ed è “morta per asfissia” provocata dal nastro adesivo con cui era stata imbavagliata prima che le venisse messo un sacchetto in testa.



Dall’autopsia a Serena Mollicone – è uno dei passaggi della dinamica descritta dal rappresentante dell’accusa in aula – è emersa anche una serie di lesioni tra cui fratture craniche e un consistente infiltrato emorragico”, con un particolare “strano”: nessuna delle fratture riscontrate, ha riassunto il pg, sarebbe apparsa scomposta. Per questo, secondo quanto sostenuto, a causarle “è stato un oggetto ampio e piatto come la porta“.