Omicidio Serena Mollicone: Mottola assolti, perché?
Dopo 21 anni dall’omicidio di Serena Mollicone, si torna alla domanda iniziale: chi ha ucciso la giovane di Arce? Il Tribunale di Cassino non avrebbe fornito le risposte sperate e al termine del primo grado i giudici hanno deciso di assolvere tutti gli imputati, dalla famiglia Mottola ai due Carabinieri, Suprano e Quatrale. Per la procura, i responsabili della morte della giovane Serena sarebbero proprio l’ex maresciallo Franco Mottola, il figlio Marco e la moglie Anna Maria e per questo ha già annunciato il ricorso in Appello dopo aver letto le motivazioni della sentenza, attese per il prossimo autunno.
Per il momento, dunque, restano validi i dubbi sollevati dalle difese degli imputati, in particolare dei Mottola. Come rammenta Il Messaggero, infatti, gli avvocati Francesco Germani, Mauro Marsella, Piergiorgio Di Giuseppe e Enrico Meta hanno sempre ripetuto nel corso del processo: “L’assassino non è in quest’aula”, ed hanno fatto leva su questa loro tesi accendendo i riflettori su un ulteriore giallo, quello delle impronte. In tutto sono state rinvenute diverse impronte – 7 sul nastro ai polsi di Serena, 2 su quello usato per legare i piedi e 2 sul cassone di ferro che copriva il cadavere e altre decine sui libri della Mollicone accanto al suo corpo – ma nessuna di queste appartiene agli imputati né alle oltre 300 persone alle quali erano stati prelevati Dna e impronte. Un vuoto investigativo che avrebbe potuto contribuire a convincere la giuria dell’innocenza dei Mottola.
Processo Serena Mollicone, tutti i dubbi della difesa dei Mottola
A pesare nella decisione dei giudici di assolvere tutti gli imputati nel processo sull’omicidio di Serena Mollicone potrebbe essere anche l’assenza di un movente. L’ipotesi da sempre sostenuta, secondo cui la giovane volesse denunciare Marco Mottola per il giro di droga in cui era coinvolto non ha trovato riscontri in aula così come quella di una relazione tra i due. Ed anche le testimonianze sui presunti depistaggi dei Mottola sarebbero apparse fin troppo vaghe. Ciò che tuttavia non avrebbe retto sarebbero stati i due pilastri fondamentali sui quali avrebbero puntato le due pm, Beatrice Siravo e Carmen Fusco, ovvero le dichiarazioni del brigadiere suicida, Santino Tuzi e la porta della caserma, ovvero l'”arma del delitto”.
In merito alle parole del brigadiere Tuzi, queste non sarebbero state ritenute attendibili. Il carabiniere, sette anni dopo l’omicidio di Serena Mollicone svelò di aver visto entrare in caserma, proprio l’1 giugno 2001, una ragazza. Si trattava della 18enne? Secondo la procura sì, ma per la difesa invece il brigadiere avrebbe manifestato delle incertezze in merito. L’attenzione si sposta sulla porta della caserma, contro la quale Serena sarebbe stata sbattuta da Marco Mottola dopo una lite per ragioni ignote, facendole perdere conoscenza. Quindi sarebbe stata uccisa con un sacchetto di plastica. Una ricostruzione alla quale si giunge dopo la riesumazione del corpo nel 2016. Secondo le analisi dei Ris e dell’anatomopatologa Cristina Cattaneo, trauma cranico e altezza di Serena combacerebbero con l’ammaccatura della porta e l’urto sarebbe dimostrabile dalle compatibilità tra le tracce di legno trovate tra i capelli della vittima e sul nastro adesivo usato per legarla. Di 25 frammenti, solo 18 sono ritenuti utilizzabili ma il più grande ha dato esito negativo. La compatibilità al 90% è stata accertata solo su 6 tracce. La difesa ha però contestato ampiamente le analisi dal momento che nei frammenti è stata trovata solo una pianta – tra le più comuni – rispetto alle decine presenti nella porta.