Con l’arrivo della possibile estensione della terza dose a tutta la popolazione in tanti continuano ad interrogarsi sulla necessità di un booster del vaccino contro il Covid-19. Ecco allora che in tanti, dopo vari mesi passati dalla seconda somministrazione, sono corsi ai ripari con i test sierologici che attestano il livello di anticorpi conseguenti alla vaccinazione. Ma secondo gli esperti il test di per sé non avrebbe alcuna valenza medica per decidere se effettuare o meno la terza dose del siero.
A sottolinearlo, tra le colonne del Corriere della Sera, è l’immunologo del Comitato Tecnico Scientifico Sergio Abrignani, che ha dato sì importanza ai test, ma non tale da decidere sulla campagna vaccinale: “Nel caso di Sars-Cov2 i test sierologici non possono essere utilizzati per prendere alcuna decisione medica, quale prolungare il green pass o fare la terza dose. Queste sono decisioni che vengono prese sulla base dei dati di efficacia vaccinale e non del declino del livello degli anticorpi ,che è un fatto fisiologico nei primi 12 mesi dalla vaccinazione”.
Sergio Abrignani: “Ecco come funzionano i test sierologici”
Nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera Sergio Abrignani, membro del Cts e docente di Patologia generale all’Università degli Studi di Milano, ha sottolineato il funzionamento dei test sierologici: “I test sierologici misurano la presenza di anticorpi specifici per la proteina Spike di Sars-Cov2 nel siero. La misurazione di questi anticorpi può essere fatta non solo in modo quantitativo (cioè per capire quanti ce ne sono) ma anche qualitativo (quanti neutralizzano l’infezione da parte del virus delle cellule umane in laboratorio). I test sierologici devono essere misurabili in modo standardizzato e devono dare un’informazione che significhi qualcosa dal punto di vista clinico. Ma quelli per Sars-Cov2 non sono standardizzati“.
“In Italia ne esistono tanti diversi che danno valori non comparabili fra loro e, cosa importante, non vi è un «correlato di protezione»- ha spiegato Abrignani-, cioè un valore di anticorpi al di sopra o al di sotto del quale si è protetti o suscettibili. In Israele si è deciso di fare la terza dose perché passati 4-6 mesi dalla somministrazione delle due dosi, soprattutto con la variante Delta del virus, i vaccinati si reinfettavano e si ammalavano. I dati dell’Istituto Superiore di Sanità ci dicono che, per motivi che non comprendiamo, in Italia abbiamo una situazione diversa da Israele perché non c’è, anche contro la variante Delta, un calo importante di protezione dalla malattia. È stata osservata, come in tutto il mondo, una diminuzione di protezione dall’infezione, probabilmente perché il virus Delta è molto più infettivo rispetto all’Alfa”.