Gara n.13 di Serie A. Analizzando le potenziali interessate allo scudetto osserviamo che il Napoli potrà non vincerlo solo se commetterà errori enormi di presunzione: se starà concentrata ed eviterà leziosità di gioco niente potrà fermarla. Inoltre Spalletti, le cui squadre, normalmente, tengono per una dozzina di partite, potrà trarre grande vantaggio dalla sospensione del campionato per più di un mese e mezzo.



Tenendo la squadra corta, la difesa molto avanzata e Osimhen, che prima regala un rigore all’Atalanta e poi lo ricupera con un gesto atletico mostruoso e un assist per il vantaggio, a impegnare tutta la difesa orobica, gli azzurri hanno annichilito i bergheimer capaci di fare gioco, creare occasioni, ma, assenti i migliori Muriel e Zapata, mancanti di peso e cinismo nell’area avversaria. Lookman, ottimo nel dribbling e nel creare superiorità numerica, ha bisogno di aver vicino un attaccante d’area degno delle aspettative della Dea e, al momento, non può esserlo Hojlund.



Se poi si aggiunge che il “fattore c.” sta favorendo, come avvenuto a Bergamo, gli azzurri diventa difficile immaginare non sia il loro campionato. Il Milan ha un gioco oramai conosciuto, ma difficile da contrastare. Non ha un gran numero di individualità importanti, ma si muove all’unisono e con grande velocità. I casciavit non possono mai rallentare altrimenti rischiamo contro qualunque avversaria: la loro forza è imporre un ritmo elevato alle gare. Infatti, contro lo Spezia, finché i liguri sono stati capaci di mantenere una velocità di gioco pari ai rossoneri, questi hanno corso diversi rischi, pareggiati dalle ripartenze del miglior calciatore rossonero: Leao.



I liguri difendevano a cinque permettendo così ai Diavoli di alzare gli esterni in appoggio a Origi e Leao. Troppo in linea i difensori spezzini, nessuno usciva su Diaz che godeva di grande spazio. La difesa dei marinaretti non poteva tenere a lungo e infatti ha resistito solo venti minuti: lancio di Bennacer e rete dì Hernandez. Poi il Milan è divenuto vezzoso e gli spezzini hanno preso spazio e pareggiato. I rossoneri, ieri si è visto per la centesima volta, a centrocampo hanno bisogno di Tonali e Bennacer contemporaneamente, altrimenti scendono nell’impalpabilità. Quando tutto pareva chiuso una mezza girata al volo di Giroud, il cosiddetto colpo della domenica, ha permesso ai milanisti di issarsi al secondo posto in classifica.

La distanza dal Napoli sarebbe numericamente colmabile, sul piano del gioco è invece meno di quanto viene espresso dalle due squadre. Di certo non è il derby il momento migliore per valutare la forza delle contendenti, se non dal punto di vista caratteriale. Spesso in tali partite la paura di perdere fa aggio su ogni altra finalità. In particolare nel derby capitolino, fra due squadre che per lo scudetto lottano ogni morte di Papa, la sconfitta in uno scontro cittadino diventa una tragedia per la perdente.

La Lazio all’incontro di questa giornata si è presentata senza i suoi due uomini migliori: Milinkovic-Savic e Immobile. Non che questa possa essere una scusante, mi ricordo un derby della Madonnina vinto dagli uomini di Herrera che comprendevano Morbello e Della Giovanna. Vince il derby chi mantiene i nervi più saldi, sente meno la pressione e, naturalmente, ha un “fattore c.” superiore. La Maggica ha cercato di cambiare spesso, con lanci che attraversavano il campo, la fascia d’attacco e contemporaneamente di rimanere alta sul possesso di palla avversario per avere, riconquistata la palla, minor percorso per raggiungere l’area avversaria. La Lazio, non ha improvvisato nulla rispetto al normale verbo sarriano, palleggio, attaccanti che non danno riferimento alla difesa avversaria, lanci in verticale di Luis Alberto. Solo una cavolata difensiva poteva sbloccare l’incontro. Ci ha pensato Ibanez dando ad Anderson la possibilità di fare secco il portiere giallorosso.

La Roma si è buttata in avanti colpendo anche la traversa con Zaniolo ma lasciando troppo spazio ai contropiede biancocelesti. Peraltro la linea difensiva della Lazio non concedeva il passaggio, qualche tiro da fuori sarebbe stata l’unica soluzione. Non è arrivato nessun tiro e così, per sei mesi, gioiranno i laziali che si sono insediati al terzo posto in classifica.

Juventus e Inter sono scese in campo per una sfida che eccita i tifosi ma che con lo scudetto non c’entra niente, al massimo è un incontro per entrare nella prossima Champions.

I bauscia hanno schierato quella che oggi è la squadra titolare, i gobbi un paio di giovani che si sono distinti nelle ultime giornate: Fagioli e Miretti. Inizio con pressing interista, la Juve gioca con calma e azioni molto elaborate. Nessuno riesce a produrre verticalizzazioni, solo gioco in orizzontale e lento. La Beneamata, nella prima mezz’ora, ha creato tre nitide occasioni da rete senza sfruttarle.

I torinesi hanno dato l’impressione di voler lasciare che l’Inter si sfogasse per colpirla nella parte finale dell’incontro. Lo scontro, così giocando, si sarebbe risolto a favore di chi avesse vinto sulle fasce. Nel primo tempo Dumfries e Dimarco hanno surclassato Alex Sandro e Cuadrado, ma la squadra non ha ottenuto vantaggio per gli errori degli attaccanti. Si sveglia la Juve nella ripresa. L’inter attacca ma, in ripartenza, i bianconeri segnano, parrebbe impossibile: 1-0.

È la legge del calcio, se butti le occasioni finisce che gli avversari ti puniscano e la Juventus lo ha fatto due volte. Con questa vittoria nel derby d’Italia gli juventini rimangono in corsa per le prime posizioni, i nerazzurri lotteranno per andare almeno in Conference League: non è annata.