Giocata la 15a giornata di Serie A con il Napoli che vola. L’Udinese, sparring partner per l’occasione, le ha tentate tutte, prima bloccandosi in difesa poi avventurandosi nel pressing alto e riuscendo ad impaurire gli avversari addormentati nel finale. Niente da fare quando gli altri hanno un Osimhen che, in questo periodo, segnerebbe anche se tirasse dalle tribune. Tiene alta la squadra, fa goal e assist, è incontenibile. Spalletti va in ferie, per i Mondiali, con un’altra vittoria e una classifica invidiabile che sta quasi sentenziando la sua prima vera grande vittoria: uno scudetto in Italia.
Dopo la scoppola di Lecce, Gasperini si è fatto furbo. La sua Atalanta è stata impostata a uomo e pressing quando possibile, come negli anni ’70. Zapata fa il classico centravanti d’area. I bauscia, nella formazione oramai tradizionale, senza Brozovic, paiono un po’ sorpresi anche se, su lancio di Onama, Di Marco manca un’ottima occasione. Gli interisti non hanno forza nell’uno contro uno e sono lenti sulle fasce, la Dea ha troppa frenesia in attacco. Solo una cavolata delle difese poteva sbloccare la gara. Ci ha pensato De Vrij sgambettando Zapata. Rigore: 1-0 per i bergamaschi. Presa sul vivo la Beneamata ha aumentato il ritmo riuscendo a pareggiare con uno strano colpo di polpaccio-tacco di Dzeko. Forse, per i milanesi, ci sarebbe voluto l’ingresso di Brozovic al posto di Mkhi per avere due possibilità di impostazione a centrocampo. Avrebbe dovuto sfruttare meglio la fascia destra, Dumfries non riceveva mai palla. Poi l’Inter non ha per niente la difesa blindata. Certamente i due scontri fra queste avversarie nello scontro campionato sono stati molto più divertenti, a quei tempi entrambe valevano lo scudetto. Di Marco è volato sulla sinistra, cross per Dzeko che, aiutato da Maehle, ha realizzato: 1-2. Il gioco dell’Inter si è fatto più tosto ed è arrivato l’1-3, ci ha pensato Palomino che poi si è rifatto infilando il 2-3. Per la seconda volta l’Inter ha vinto in rimonta e per la prima contro una grande che ne ha perse tre consecutive: ”inculet”come si dice nei salotti di Bergamo. I milanesi vanno al riposo dei mondiali vicini alla Champions, la Dea si sta chiamando fuori dalla vetta della Serie A. Alla ripresa scontro fra Inter e Napoli al Meazza: o dentro o fuori.
Fino all’ingresso di Dybala, la Magica ha sofferto nel gioco ed è anche andata in svantaggio col Torino. Sarà stato anche un fatto psicologico di euforia giallorossa o di paura torinista ma la sola presenza in campo della Joya ha portato la Roma ad occupare stabilmente la metà campo granata. Il Toro ha giocato alla Juric, difesa e speranza nel contropiede, Mou le ha tentate tutte per vincere ma se hai due punte come Abraham o Belotti giochi in dieci. Dybala ha tentato anche qualche conclusione da fuori ma la difesa del Torino ha erto una maginot insuperabile fino al 92′ quando Dybala, e chi se no, ha ottenuto un rigore che, chissà perché, ha tirato Belotti colpendo il palo esterno. Subito dopo, su tiro, sempre di Dybala, respinto dalla traversa, Matic ha potuto pareggiare con una lecca da venti metri. Giusto così. A chi chiedeva se i giocatori non avessero bisogno di una spinta psicologica esterna per avere maggiori motivazioni, l’allenatore romanista ha, giustamente, risposto ”perché nessuno ha bisogno di motivazioni esterne quando, a fine mese, va a ritirare lo stipendio?”. Motivo di riflessione per tutti.
Il Milan è partito con Tonali e Bennacer a centrocampo e Leao vicino a Giroud. L’impostazione ha dato subito il frutto di una rete, Leao su assist del francese. Fiorentina annichilita. Dopo poco, collegato al fatto che Amrabat dominava il centrocampo, la Viola si è risvegliata, colpito un palo con Biraghi ed è andata in goal con il migliore in campo: Barak. Il gioco di Italiano metteva in difficoltà i casciavit che non trovavano spazio sulle fasce ed erano bloccati in centro dal citato marocchino. Unica possibilità per avvicinarsi a Terracciano erano i lanci lunghi su Giroud. Nessuna delle contendenti ha primeggiato sull’altra e quando il pareggio pareva certo è scattato il classico “fattore c.” caratteristico dei diavoli, specialmente in questa Serie A, che sono apparsi un poco spompati. Ma il citato fattore non perdona: autorete di Milenkovic e il Milan non perde altri punti scudetto, è secondo in classifica.
Juve e Lazio sono scese in campo con un’idea precisa in questo scontro di Serie A: impostare la partita salendo a pressare l’avversaria fino all’area. L’idea di vincere era forte in entrambe e, data la distanza dal Napoli, era l’unico risultato accettabile. Sarri, non avendo Immobile, ha impostato la squadra con Anderson a fare il gioco cui ci aveva abituato Mertens nel Napoli sarriano: il falso nueve. Pareva che i romani, avendo preso campo, potessero passare in vantaggio quando, a fine primo tempo, su lancio di Rabiot, Kean ha superato Provedel con un pallonetto. Gobba non certo spettacolare ma concreta ed efficace. Iniziata la ripresa nulla è cambiato nel gioco delle due squadre. Tutti si aspettavano il rapido ingresso di Luis Alberto nei biancazzurri per verticalizzare meglio il gioco: Sarri non è stato del medesimo parere ha aspettato a chiudere la stalla quando oramai i buoi erano scappati. La sua squadra non è apparsa inferiore alla Juve ma il continuo palleggio con cui avanzava non dava alcun frutto mentre i bianconeri, giocando con lanci talvolta anche fuori luogo, con due/tre passaggi arrivavano in area laziale. Infatti, giocando sulle ripartenze, Kostic è arrivato a mettere Kean nella condizione di fare doppietta. Poi si è aggiunto anche Milik: 3-0. È parso rivedere il recente derby d’Italia dove l’Inter aveva fatto gioco ma la Juve segnato e vinto. Così la giornata finisce con la cosiddetta signora che, superata la Lazio, si piazza al terzo posto in classifica. Ha un ritardo di dieci punti dalla vetta, ma di partite in Serie A ne mancano tante!