La diciottesima del campionato di Serie A ne ha, forse, segnato il destino, troppo forte il Napoli anche per una Juventus arrivata al Maradona con grandi ambizioni e in formazione al completo. Osimhen rimarrà per sempre nella mente di Bremer, lo ha saltato a destra, sinistra e in alto. Alex Sandro in difficoltà con Politano mentre Kvara irrideva Danilo. Chiesa, schierato come tornante, rideva di se stesso mentre Milik faceva sorridere tutto il San Paolo. Lobotka ha insegnato come dirigere il centrocampo e Meret, chiamato a sventare un tentativo di autorete di Rrhamani, ha fatto il proprio dovere. È nella storia dei gobbi, quando partendo del secondo posto vanno all’attacco della capoclasse di tornare scornati. Ricordo il 6-0 beccato nel 1954 a San Siro contro i bauscia con Skoglund, Brighenti, Armano e Nesti a maramaldeggiare. Stavolta si è migliorata, è tornata al nord con un meritato 5-1 che la toglie dal pensiero scudetto che diventa più che un sogno per Spalletti.



I campioni d’Italia sono scesi sicuri della vittoria a Lecce. Dopo pochi minuti erano già sotto di due reti ringraziando gli attaccanti del Lecce che ne hanno sbagliate almeno un altro paio. Senza Tonali il centrocampo era terra di dominio giallorosso e, di riflesso, la difesa faceva acqua. I salentini, oltre ad una forma fisica eccellente, si sono avvalsi delle capacità di Strefezza che si portava i casciavit, per irriderli, da tutte le parti del campo. I rossoneri sono apparsi fermi, probabilmente hanno capito che per lo scudetto non c’è gara, già hanno fatto “l’uovo fuori dalla cesta” lo scorso campionato, e allora si sono risparmiati per il derby, con Supercoppa in palio del prossimo mercoledì. Si giocherà a Riyadh per questione di soldi, sarebbe stato logico confrontarsi al Meazza.



Quanto soprascritto è valso per tutta la prima parte di gara. Negli spogliatoi i giocatori avranno ricevuto una strigliata tremenda da tecnico e dirigenti. Rientrati in campo si sono visti tre cambiamenti: diavoli rivitalizzati, leccesi distrutti dalla fatica, Pioli che ha capito di mettere un uomo fisso su Strefezza. Il citato combinato disposto ha riportato l’incontro sui binari della normalità, in venticinque minuti i rossoneri hanno pareggiato. Da quel momento per i pugliesi non c’è stata più tranquillità, i milanisti scendevano da tutte le parti, Falcone, portiere leccese sbraitava incitamenti ai suoi e dava l’esempio parando il parabile. Comunque niente di trascendentale, più sceneggiata che altro, anzi, con qualche rischio nel finale. Finita, come giusto, in pareggio per il godimento sotto il Vesuvio.



Tre minuti e contro la Hellas l’Inter aveva già bucato la porta veronese e recuperati punti sulle maggiori rivali per i quattro posti di Champions. Bel colpo di Lautaro. I bauscia hanno giocato con strane ma redditizie posizioni sul campo. In particolare, a turno, si accentravano Dimarco e Bastoni aggiungendosi agli attaccanti. Talvolta si portava Acerbi a centrocampo coperto da Gagliardini. Tali movimenti mettevano in ambasce i gialloblù che, pur cominciando a macinar gioco dopo la mezz’ora, mai hanno impaurito Obama. Per tutta la ripresa il Verona ha cercato di incrementare la pressione e l’Inter il palleggio. Il calciatore a toccare più palloni è stato Obama. L’Hellas ha giocato a uomo, allora gli interisti continuavano a cambiare posizione in attacco per portare gli avversari fuori zona. Partita noiosa. Possiamo dire che la Beneamata abbia giocato “quanto basta”e vinto questa partitella. Ora in tre sono raccolte all’inseguimento della capolista, il traguardo è ancora lontano ma sono troppi i punti di distacco. Le altre “grandi”, Maggica, Aquilotti e Bergheimer, giocheranno nella giusta giornata settimanale, la domenica; vedremo i risultati hanno avversarie abbordabili.